Eni produce energia geopolitica

di John Hawkins

 Non ci sarebbe da stupirsi più di tanto: da sempre dire petrolio significa dire alleanze geopolitiche e le sedi estere dell’Eni sono state – e sono – quasi più importanti delle nostre ambasciate. È stato così fin dai tempi della nascita del Cane a sei zampe con Enrico Mattei, è così oggi che l’Eni, società quotata, è guidata da Paolo Scaroni che proprio Berlusconi ha insediato alla guida del gruppo petrolifero a controllo pubblico, spedendo alla presidenza Roberto Poli, uno dei più ascoltati consiglieri del Cavaliere e nei board di Fininvest e Mondadori. E invece qualcuno si è stupito, negli ultimi mesi: addirittura al punto di pensare, come molti sussurrano nei palazzi della Politica, che molte delle disavventure capitate a Berlusconi e gli attacchi sistematici della stampa straniera rivolti al premier nascano proprio dalle sue scelte geopolitiche sull’energia che hanno irritato profondamente il nuovo inquilino della Casa Bianca Barack Obama. Qualcuno si spinge addirittura a pensare che il furore mediatico si è riflesso in un pressing finanziario sugli azionisti Eni, promosso dal fondo attivista Knight Vinke, che propugna lo spezzatino del Cane a sei zampe fra produzione e distribuzione. Con la benedizione del Dipartimento di Stato a stelle e strisce.
Così Scaroni, che pure vanta col mondo anglosassone lunghi trascorsi, ha cercato di correre ai ripari: è volato negli Stati Uniti, dove conta su un “ambasciatore” come Enzo Viscusi, e a Bucarest ha cercato di tranquillizzare Richard Morningstar, il responsabile per l’energia in Eurasia del segretario di Stato Hillary Clinton. Nessun asse privilegiato con Mosca e nemmeno con Tripoli: peccato che Eni sia il principale partner del gigante Gazprom, nel cuore di Putin, per il maxigasdotto South Stream; peccato che Eni abbia rilevato e poi venduto asset della ex Yukos (l’impero di Mikhail Khodorkovskij fatto a pezzi proprio da Putin e dal suo fido Igor Sechin), peccato che non più tardi di due settimane fa l’oleodotto Samsun-Ceyhan, ove l’Eni è socio al 50% con la turca Kalic, vedrà entrare sempre i russi di Rosneft e Transneft. Ciò che preoccupa di più Washington è che, via Eni, Berlusconi sia uno dei registi dell’operazione che consegna il mercato europeo dell’energia a Putin: il South Stream, ad esempio, si mette di traverso all’altro progetto del maxigasdotto Nabucco, appoggiato dagli Stati Uniti e da altri paesi europei. Berlusconi, e con lui Scaroni, sanno che nella loro squadra gioca anche Angela Merkel, che appoggia il gasdotto North Stream targato Gazprom, presieduto nientemeno che dall’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, e che potrebbe arrivare anche Nicolas Sarkozy se il big energetico francese Edf entrerà in South Stream. A quel punto, da Nord (North Stream) e da Sud (South Stream), con l’ok di Italia, Francia e Germania, la Russia avrà “colonizzato” l’Europa dal punto di vista energetico diventando il fornitore numero uno di gas. E, sopratutto, Putin avrà salvato il suo “gioiello” Gazprom, produttore numero uno al mondo di gas naturale, che oggi, schiacciato da oltre 30 miliardi di euro di debiti, deve inoltre fare i conti con 2,5 miliardi di dollari di controvalore di gas non venduto, parte dei contratti “take or pay” sottoscritti proprio da Eni.

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