Mercati emergenti, un’ondata massiccia di tagli dei tassi

A cura di Stéphanie de Torquat, Macro Strategist di Lombard Odier

Le difficoltà sul fronte del commercio e l’incertezza generalizzata stanno pesando sul complesso dei mercati emergenti. Fortunatamente il miglioramento dei fondamentali e ampie politiche monetarie distensive stanno aiutando le economie emergenti a superare questi momenti di difficoltà nella congiuntura globale. La loro capacità di adattamento potrebbe essere messa in crisi in caso di uno scenario globale di avversione al rischio, oppure di un deterioramento notevole dei fondamentali domestici, che causerebbero un deflusso di capitali, una svalutazione della moneta e un ritorno prepotente dell’inflazione.

Non sorprende quindi che in un contesto di protratti contrasti commerciali tra le due maggiori economie del mondo i mercati emergenti stiano rallentando. Benché sia possibile che stiano agendo fattori di lungo periodo, la maggior parte delle economie emergenti sono aperte, dipendenti dalle esportazioni e/o dalle importazioni, e ben integrate all’interno di catene di valore globale sempre più complesse.

La crescita del Pil del primo trimestre 2019 per i mercati emergenti tocca quindi un minimo (esclusi gli episodi di crisi), in un panorama negativo dove nessuna regione fa eccezione. Essendo una grande regione manifatturiera/esportatrice netta con forti legami con la Cina, non sorprende che l’Asia abbia immediatamente sentito il colpo dei problemi sul fronte degli scambi commerciali.

L’America Latina ha mostrato le performance peggiori, colpita non solo dal calo del prezzo delle materie prime e dalla crescente incertezza globale, ma anche da diverse problematiche specifiche di questa regione. Per quanto riguarda l’Europa dell’Est, il suo percorso economico è strettamente correlato a quello agli indicatori manifatturieri dell’eurozona, e più precisamente della Germania, che hanno registrato una decisa contrazione.

Ciò detto, il leggero rimbalzo registrato nei mesi di aprile-giugno suggerisce che le economie emergenti sono effettivamente resilienti. I loro fondamentali sono migliorati negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda il conto delle partite correnti e le riserve estere, consentendo maggiore fiducia e credibilità nei loro confronti. Altro aspetto importante, le banche centrali dei paesi emergenti sono state in grado di abbassare i tassi, insieme alla Fed e alle autorità monetarie di altri paesi sviluppati. Si è registrata infatti una massiccia ondata di alleggerimento finanziario nel corso dell’anno nei diversi paesi emergenti, con un taglio dei tassi in 14 delle 18 banche da noi monitorate (vedere grafico 9) e spazio di ulteriori interventi in almeno 10 paesi.

Ovviamente, questa tendenza verso l’alleggerimento delle politiche monetarie nelle economie emergenti potrebbe subire una battuta d’arresto in caso di scenario globale di avversione al rischio, in cui la fuga dei capitali metterebbe sotto pressione le valute, rendendo a sua volta più difficile il servizio del debito esterno e facendo risalire i parametri inflazionistici. Anche le problematiche legate ai fondamentali domestici potrebbero far scattare una fuga dei capitali, in particolare per quanto riguarda il crescente livello di indebitamento (che tocca oggi un nuovo record a 69 trilioni di dollari, pari al 216% del Pil).

Tutto ciò detto, in assenza di una chiara risoluzione nei contrasti commerciali tra Stati Uniti e Cina, probabilmente il meglio che possiamo aspettarci dai mercati emergenti è che “se la cavino”.

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