Scontro Usa-Cina, “Sbatti il mostro in prima pagina”

A cura di Aqa Capital

Bizanti: «Ora, io non sono Umberto Eco e non voglio farti una lezione di semantica applicata all’informazione, ma mi pare evidente che la parola “disperato” è gonfia di valori polemici. Se poi me lo unisci alla parola “disoccupato”, “disperato disoccupato”, beh, allora ci troviamo di fronte a una vera e propria provocazione».
Citazione tratta da “Sbatti il mostro in prima pagina”, film del 1972 di Marco Bellocchio

Due navi da guerra statunitensi sono passate nei pressi dell’arcipelago del Mar della Cina. Per Pechino, quanto accaduto nei giorni scorsi è stato una vera e propria provocazione. Le acque oggetto del diverbio, inoltre, sono al centro di un contenzioso territoriale perché reclamate da Cina, Taiwan, Filippine, Brunei, Malesia e Vietnam. Tale situazione rischia di ripercuotersi anche sulle trattative commerciali tra Pechino e Washington e i mercati monitorano con attenzione tutti gli sviluppi.

“Vogliamo lavorare per un accordo di fase uno sulle basi di mutuo rispetto ed eguaglianza”, ha detto il presidente cinese Xi Jinping, sottolineando che sono stati gli States ad avviare “questa guerra commerciale”. Però ha aggiunto: “Se fosse necessario, risponderemo con misure di rappresaglia”. Il sentiment degli investitori sulla questione è alquanto altalenante, e nel giro di poco tempo si passa dall’ottimismo al pessimismo e viceversa. A essere particolarmente fiducioso è il Global Times, tabloid del partito comunista cinese, secondo cui i due Paesi “sono molto vicini all’accordo commerciale di fase uno, e la Cina rimane impegnata a continuare colloqui per un accordo di fase due o persino di fase tre con gli Stati Uniti, su base egualitaria”. Tutti comunque sperano che le provocazioni vengano messe da parte e che si arrivi a una soluzione entro il 15 dicembre, quando sono previste ulteriori tariffe su circa 160 miliardi di dollari di importazioni cinesi tra cui gli smartphone.

Pechino intanto è presa anche da questioni interne. Il riferimento è rivolto soprattutto a Hong Kong, dove c’è stata una netta di vittoria del fronte pro-democrazia alle elezioni locali, che si sono tenute per eleggere i membri dei 18 consigli distrettuali della regione.

Negli Stati Uniti, invece, c’è fermento nel mondo dell’intermediazione finanziaria. Dopo le indiscrezioni della scorsa settimana, è arrivata la conferma che Charles Schwab acquisterà il broker rivale TD Ameritrade Holding in un’operazione valutata sui 26 miliardi di dollari. Lo hanno annunciato nei giorni scorsi i due colossi americani. Da questo connubio nascerà un gigante con una base clienti di 24 milioni di investitori e oltre 5 mila miliardi di dollari di asset.

In Europa il presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, resta nel solco tracciato da Mario Draghi. Al suo secondo intervento ufficiale da quando è in carica, l’ex direttore generale del Fmi ha infatti rimarcato che la politica monetaria non basta e serve anche il contributo delle politiche degli Stati, i quali devono investire di più.

“La politica monetaria potrebbe raggiungere il suo obiettivo più rapidamente e con meno effetti collaterali se altre politiche sostenessero la crescita al suo fianco”, ha detto Lagarde, evidenziando che un “elemento chiave è la politica fiscale dell’area dell’euro” e che “gli investimenti sono una parte particolarmente importante della risposta alle sfide odierne”. La banchiera ha comunque garantito che “la politica monetaria continuerà a sostenere l’economia e rispondere ai rischi futuri in linea con il nostro mandato di stabilità dei prezzi”.

Intanto l’indice Ifo sulla fiducia delle imprese tedesche cresce a 95 nel mese in corso da 94,7 di ottobre, in linea con le previsioni degli economisti. Invece il sotto indice sulla situazione corrente in Germania si è attestato a 97,9, leggermente al di sotto delle attese (98). Infine, c’è l’indice sulle attese: il dato reale per novembre si è fermato a 92,1, mentre il consenso aveva previsto 92,5.

In Europa, inoltre, è alta l’attenzione sul colosso francese del lusso Lvmh, il quale controlla marchi come Louis Vuitton, Bulgari, Fendi, Givenchy e Kenzo. Il gruppo si è infatti aggiudicato uno dei brand più noti della gioielleria internazionale: Tiffany. In una nota congiunta si legge che è stato raggiunto un «accordo definitivo per l’acquisizione» della società statunitense da parte di Lvmh “al prezzo di 135 dollari per azione. La transazione vale per Tiffany circa 14,7 miliardi di euro, ovvero 16,2 miliardi di dollari”.

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