Fisco, l’Italia scende al 128° posto nella classifica di Banca Mondiale e PwC

L’Italia scende al 128mo posto nella classifica generale del rapporto “Paying Taxes 2020” pubblicato da Banca Mondiale e PwC: era al 116mo posto nel report del 2017.

Il rapporto “Paying Taxes” rileva e analizza i costi per imposte e tasse in capo alle imprese, il connesso carico amministrativo per versamenti d’imposta e i diversi adempimenti fiscali registrati nel corso dell’ultimo periodo fiscale (2018); studia la facilità nel pagare le imposte in 190 economie e fotografa l’incidenza della tassazione dell’attività produttiva nei singoli paesi, attraverso un caso di studio che ha ad oggetto un’impresa domestica di medie dimensioni nel secondo anno di operatività.

Lo scenario in Italia

L’Italia si posiziona al 128mo posto nella classifica generale che combina i tre indicatori (in discesa dal 118° posto nel Report pubblicato per il 2017, successivamente rettificato al 116° posto), stilata su base mondiale esaminando 190 economie.

● Ttcr 2018 pari al 59,1% (a fronte di un Ttcr globale di 40,5 e di un Ttcr europeo di 38,9%). Il dato registra un incremento di 6 punti percentuali essenzialmente riconducibile al venir meno degli sgravi contributivi introdotti quale misura temporanea non successivamente stabilizzata, in conseguenza del mutamento della politica economica del paese. La sensibile riduzione dell’aliquota Ires intervenuta nel 2017 e la previsione del “super ammortamento” per l’acquisizione di nuovi beni strumentali non hanno consentito di assorbire l’impatto negativo del venir meno della decontribuzione. Tuttavia, l’indice non riflette altri significativi incentivi previsti a favore delle imprese, quali gli incentivi Industria 4.0, a causa delle limitazioni del caso base.

● 238 ore impiegate per gli adempimenti fiscali (invariate rispetto al 2017), a fronte di un dato medio globale pari a 234 e di un dato medio europeo pari a 161 ore;

● Costante il numero dei pagamenti: resta pari a 14 rispetto ad un dato globale di 23 pagamenti e un dato europeo di 10,9 pagamenti.

Il risultato dell’Italia va letto alla luce di alcune peculiarità che influenzano tradizionalmente il calcolo dell’indicatore Ttcr (nel modello il Trattamento di fine rapporto Tfr è incluso nel calcolo in quanto assimilato ad un contributo previdenziale obbligatorio) e di altre che impattano quest’anno sul caso base (pesa in particolare il riassorbimento degli effetti positivi della decontribuzione neoassunti, che precedentemente erano risultati decisivi per il miglioramento dell’indicatore).

La legislazione italiana prevede che i datori di lavoro accantonino un ammontare rapportato alla retribuzione mensile di ciascun lavoratore, che gli sarà complessivamente corrisposto al termine del rapporto di lavoro subordinato. Il lavoratore ha facoltà di destinare il proprio Tfr a forme pensionistiche complementari o di mantenerlo presso il datore di lavoro, ovvero di riceverne parte sotto forma di anticipazione in busta paga soggetta a tassazione ordinaria. Ai fini del presente e dei precedenti report, il Tfr è trattato quale contributo previdenziale obbligatorio ed è, pertanto, incluso nel calcolo del Ttcr. Nel 2018 il Tfr ha pesato per 8,6 punti percentuali sul Ttcr italiano, pari al 59,1%. Sempre sul piano della metodologia, vi è da osservare che non trovano riflesso, nel caso base preso a riferimento, alcuni interventi legislativi italiani, in particolare il pacchetto di incentivi introdotti per gli investimenti e lo sviluppo delle imprese (c.d. Industria 4.0).

Degno di nota il posizionamento dell’Italia nello sviluppo di tecnologie digitali per la gestione degli adempimenti ai fini Iva, a seguito dell’introduzione della fatturazione elettronica e del sistema di interscambio (Sdi). Il Report colloca l’Italia al Livello III (il più alto se si escludono le iniziative sperimentali avviate in vari Paesi attraverso tecnologie blockchain) per lo sviluppo digitale che richiede una stretta integrazione tra le soluzioni tecnologiche adottate dal contribuente e dell’Amministrazione finanziaria. Tale integrazione garantisce significativi benefici in termini di controllo sui dati trasmessi dal contribuente e sulla prevenzione di frodi fiscali. Ci si attende che il processo di sviluppo delle nuove tecnologie offrirà alle imprese molteplici opportunità di rendere il processo di pagamento delle imposte più efficiente, con un impatto sulle tempistiche per gli adempimenti fiscali.

L’indice relativo alla post-compliance, che riflette i tempi necessari per richiedere e ottenere un rimborso Iva, ovvero correggere un errore nella dichiarazione dei redditi, rimane invariato rispetto al 2017 a 52,4 contro il 60,9 a livello mondiale e 83,1 a livello europeo.

Il Post-Filing Index, ancorché invariato rispetto all’anno precedente, è negativamente influenzato dalla stima discrezionale di una probabilità superiore al 50% che si attivi una procedura di verifica/scambio di informazioni a seguito della richiesta di un rimborso Iva, con impatto significativo sui relativi tempi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con proprio comunicato stampa ha segnalato una forte accelerazione della tempistica dei rimborsi Iva dovuta: i) ad un preventivo sistema di valutazione del rischio che agevola le posizioni a “basso rischio”; ii) alla previsione dal 2018 del pagamento dei rimborsi Iva direttamente dall’Agenzia delle Entrate. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha, altresì, diffuso tramite pubblicazione nel proprio sito dati statistici in base ai quali i rimborsi con richiesta di ulteriore documentazione si attestano ad una percentuale media inferiore al 50% (più della metà dei contribuenti che richiedono i rimborsi non riceve richiesta di ulteriore documentazione in quanto classificati a basso rischio). Tali elaborazioni statistiche riportano tempi medi per i rimborsi IVA di 82 giorni e tempi medi per l’erogazione del rimborso di 7 giorni.

Tale elemento è sotto analisi sulla base dei dati disponibili e potrebbe portare ad una rivisitazione (positiva) dell’indice di probabilità già a partire dal prossimo anno, con positivo impatto dell’indicatore Post-Filing e di conseguenza sul posizionamento dell’Italia nella classifica generale.

Iva, 42 ore per una richiesta di rimborso

In Italia le imprese impiegano 42 ore per la richiesta di rimborso Iva incluso il tempo speso per rispondere alle richieste ricevute nel corso delle verifiche fiscali dell’Amministrazione Finanziaria (18,2 ore la media mondiale; 7 ore la media a livello europeo).

Il tempo di attesa del rimborso è di 62,6 settimane e copre un periodo di sei mesi (26 settimane) che intercorre tra l’acquisto del bene e la presentazione della dichiarazione Iva annuale (nel caso di studio condotto dal rapporto l’impresa non può richiedere il rimborso dell’imposta su base trimestrale).

A livello globale il tempo stimato è di 27,3 settimane; a livello europeo 16,4 settimane.

In Italia, sempre stando al caso in analisi, le imprese impiegano in media 5 ore per correggere un errore nella dichiarazione dei redditi, riportando un risultato migliore rispetto alla media mondiale ed europea (14,6 ore la media globale; 7 ore la media europea). La correzione di un errore nella dichiarazione dei redditi di per sé non comporta l’attivazione di una verifica fiscale e pertanto non vengono stimati i relativi tempi.

Complessivamente il valore “distance to frontier” del Post-Filing Index è pari a 52,4, negativamente influenzato dagli indici relativi ai rimborsi IVA. Va osservato che questo risultato è condizionato dalle specificità del caso-base di riferimento. Infatti, per quanto riguarda l’Italia, è da ritenere che un’impresa preferirebbe ricorrere alla compensazione dell’IVA a credito, e non al rimborso, ottenendo così la monetizzazione del beneficio fiscale in tempi più rapidi.

Commenta Fabrizio Acerbis, Managing Partner di PwC Tls Avvocati e Commercialisti, lo Studio che cura la sezione italiana del rapporto: “Per tutti i governi, l’amministrazione della fiscalità è una priorità. Il pagamento delle tasse è una delle modalità di interazione che i cittadini hanno con i propri governi fra le più universali, frequenti e, potenzialmente, causa di attrito. Un governo percepito come in grado di applicare le imposte in modo facile, diretto, giusto ed equo è percepito dagli individui e dalle imprese come in grado di trasferire questi tratti positivi ad altre dimensioni della propria azione (policy). Evidentemente è vero anche il contrario, cioè l’allargamento delle percezioni negative che i cittadini hanno se il sistema tributario è inefficiente, macchinoso, percepito come ingiusto. Inoltre, se i cittadini comprendono – perché viene spiegato loro in modo semplice e chiaro – come le imposte sono utilizzate e riconoscono il valore generato per la comunità è probabile che il livello di conformità (rispetto delle regole) sia più alto”.

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