La crescita cinese trema, ma restano opportunità nell’azionario

“Nel corso dell’anno le prospettive economiche della Cina sono notevolmente peggiorate. Il Pil cinese è cresciuto del 6% nel terzo trimestre del 2019 (le autorità cinesi avevano previsto una crescita del 6%-6,5% annuo); si tratta dell’aumento più lento dai primi anni Novanta e conferma una crescita media annua che supera di poco il 6% (6,2% annuo). Ora che ci stiamo avviando verso il 2020, prevediamo che il nuovo obiettivo di crescita verrà fissato attorno al 6% o sarà addirittura su un livello inferiore (tra il 5,5% e il 6%). La nostra stima attuale rimane del 5,8% annuo”. E’ quanto si legge in un report di Amundi firmato da Vincent Mortier, Deputy Cio Asia (ex Japan Supervisor), Alessia Berardi, Deputy Head of Macroeconomic Research, Angelo Corbetta, Head of Asia Equity ed Esther Law, Portfolio Manager Emerging Market Debt.

La performance dell’economia cinese continua a essere il pomo della discordia con gli Usa e tutte le misure varate hanno frenato la crescita. Il contributo delle esportazioni nette – sottolineano gli esperti di Amundi – ha continuato a essere positivo nel 2019 perché le importazioni sono diminuite molto più delle esportazioni (colpite dai dazi).

Allo shock esterno si vanno ad aggiungere politiche domestiche finalizzate a ridurre l’indebitamento e ad aumentare la regolamentazione e questi fattori continuano a rappresentare un problema mentre l’economia è sotto la minaccia di influenze esterne. Il settore industriale, quello dei consumi e quello immobiliare stanno risentendo di questa congiuntura anche se in misura diversa. Il calo dei investimenti fissi (Fixed asset investments – Fai) colpisce più il settore privato e manifatturiero rispetto alle imprese statali (Soe) e alle infrastrutture.

I dati di settembre mostrano un andamento divergente. I consumi delle famiglie, con l’eccezione della vendita delle automobili, sono diminuiti solo moderatamente. In genere c’è da attendersi un rallentamento molto più marcato dell’economia nel caso di un’ulteriore escalation dei dazi e di provvedimenti extra-tariffari e di una mancanza di interventi adeguati da parte delle autorità monetarie e fiscali finalizzati al perseguimento di obiettivi più strutturali.

“Detto ciò, ci aspettiamo che la Cina scenderà a maggiori compromessi sul fronte della crescita così da mantenere la sua stabilità finanziaria, ma non al punto da spingere la sua economia verso un hard Landing”, proseguono gli esperti.

Prevedete altre misure accomodanti?

Il mix di strumenti di politica economica cinese è focalizzato sugli stimoli anche se in misura molto più limitata rispetto al recente passato. Si tratta infatti di una versione più alleggerita rispetto a quella degli ultimi anni in cui gli stimoli implementati erano massicci. I tagli dei tassi sono stati limitati e molto mirati (sono previsti a breve tagli al coefficiente di riserva obbligatoria), come confermato dalla decisione presa a settembre dalla People’s Bank of China di mantenere invariato il Loan Prime Rate – Lpr, il tasso di riferimento sui prestiti alle aziende private con alto profilo di credito. La riforma recentemente annunciata dell’Lpr sta causando un allentamento marginale, favorendo di fatto le grandi banche e i clienti più sicuri (le grandi aziende), senza promuovere un maggior accesso al credito per i clienti più a rischio (le piccole imprese). Alla fine di agosto è stato chiarito che l’Lpr dovrebbe rappresentare una soglia minima (floor) per i tassi ipotecari e impedire loro di scendere ancora, a conferma del fatto che non si intende stimolare l’economia attraverso il mercato immobiliare. Nell’ottobre 2018 c’è stata una lieve ripresa del credito, ma da allora la crescita è stata moderata, trainata dalle componenti core dei prestiti in RMB e dai prestiti societari. Quasi tutti i governi locali hanno esaurito le loro quote obbligazionarie annuali (sia speciali, sia generiche). Il deficit di bilancio ufficiale è salito ben oltre l’obiettivo fissato dal governo.

Qual è la vostra opinione del mercato azionario cinese? Quali i rischi e le opportunità?

Nel complesso siamo moderatamente ottimisti. Il governo cinese sta cercando di supportare l’economia tramite interventi controllati e misurati sia sul fronte monetario, sia su quello fiscale. Riteniamo che le valutazioni siano favorevoli al mercato, mentre le prospettive per la crescita degli utili appaiono contenute (un dato che appare già scontato). Riteniamo piuttosto fondate le aspettative di un’interruzione parziale o temporanea della guerra dei dazi; tuttavia, le barriere da rimuovere per giungere a un pieno accordo richiedono notevoli concessioni da entrambe le parti, ad esempio la Cina non sarebbe disposta ad accettare che in un accordo bilaterale gli Usa assumano il ruolo di “cane da guardia della compliance”, né sarebbero accettabili il proseguimento della pratica americana di inserire le aziende cinesi in una lista nera e le limitazioni agli investimenti Usa in società cinesi. Anche tenendo conto di queste dinamiche, riteniamo probabile un accordo parziale o un’interruzione degli aumenti dei dazi perché non è pensabile che Usa e Cina abbiano voglia di pagare il prezzo di una guerra commerciale senza esclusione di colpi. Tuttavia, stiamo seguendo con attenzione l’evolversi della situazione e prevediamo altra volatilità. Manteniamo una preferenza per le azioni di classe A maggiormente esposte all’economia cinese interna e che potrebbero beneficiare dell’inclusione nell’indice Msci (il 28 agosto è aumentato la quota di inclusione delle azioni di classe A nell’indice Msci dal 10% al 15%). Vediamo delle opportunità nei cambiamenti della catena di fornitura (settore tecnologico taiwanese e cinese), nello sviluppo interno di componenti e nella creazione di mercati per soluzioni di qualità non eccelsa ma pur sempre soddisfacenti.

Anche il settore di internet sta diventando a nostro avviso più maturo; i tassi di crescita in calo e le quote di mercato in stabilizzazione ci hanno indotto a focalizzarci più sulla redditività e sulla sostenibilità che non su una concorrenza irrazionale. Vediamo delle opportunità nel trend di miglioramento dei consumi in Cina e nel fatto che i marchi domestici offrono prodotti sempre più competitivi ai marchi internazionali. Inoltre vediamo grandi opportunità sul fronte educativo perché la domanda è relativamente inelastica e la spesa delle famiglie sta aumentando; gli attori stanno investendo nei corsi online, un fattore che potrebbe trasformare la composizione della quota di mercato di questo settore. I rischi sono numerosi. La situazione di Hong Kong è sotto i riflettori e aumentano le critiche internazionali che infastidiscono la Cina, per cui Hong Kong è una questione di sovranità nazionale. Un errore di politica da parte delle autorità cinesi, per quanto improbabile, potrebbe introdurre un rischio significativo riguardo ai premi al rischio di Cina/Hong Kong. Non si esclude peraltro un’escalation della guerra commerciale visto che i segnali continuano a essere molto contrastati. Tra gli altri rischi figurano un marcato inasprimento del mercato immobiliare o l’incapacità di sostenere i progetti fiscali dei governi locali.

Se prendiamo in considerazione l’Asia nel suo insieme, quali sono i Paesi/i settori più interessanti per gli investitori azionari?

In generale il ciclo ci appare un po’ troppo maturo per le azioni dei mercati emergenti mondiali. La dinamica economica nelle diverse aree dei Paesi emergenti, soprattutto in Asia, rimarrà fiacca. Le esportazioni dei Paesi emergenti sono ancora negative anche se si stanno stabilizzando. Preferiamo essere selettivi e beneficiare delle storie locali che potenzialmente potrebbero generare una certa espansione fiscale. In un’ottica temporale di un anno prefiguriamo un ciclo maturo avanzato dove saranno privilegiati i titoli quality e i rendimenti da dividendi. Oltre alla Cina, rimaniamo ottimisti nei confronti di alcuni Paesi dotati dello spazio di manovra sufficiente per un’espansione del bilancio. Siamo ancora ottimisti riguardo all’India, anche se la domanda interna rimane debole. La decisione di abbassare l’imposta sulle imprese significa che il governo ha compreso quanto sia debole l’economia interna. Continua a piacerci il settore informatico/del software, dove le società beneficiano degli abbondanti flussi di cassa e dove quelle migliori sono disposte a distribuire dividendi elevati. Nel settore bancario privilegiamo le banche corporate perché crediamo che i crediti deteriorati abbiano raggiunto il picco e le valutazioni siano più realistiche. Alla luce di tali considerazioni riteniamo che la situazione di Taiwan sia molto interessante grazie soprattutto all’eccellente performance del settore tecnologico e al fatto che molte società operanti in Cina hanno deciso di trasferirsi lì. Come accade spesso in un ciclo economico debole, il settore tecnologico è il primo a registrare un aumento delle scorte, ma è anche il primo a eliminare le scorte in eccesso.

Che cosa ne pensate delle obbligazioni asiatiche e, più in particolare, di quelle cinesi?

Rimaniamo leggermente favorevoli al comparto obbligazionario dei Paesi emergenti. I dati macroeconomici deludenti lasciano prevedere che le politiche monetarie rimarranno molto accomodanti; in questo contesto di politiche monetarie molto espansive in tutto il mondo, in cui circa il 30% delle obbligazioni mondiali offre rendimenti inferiori allo zero, le obbligazioni dei Paesi emergenti, comprese le obbligazioni asiatiche, dovrebbero continuare a beneficiare di questo contesto esterno. In Asia, privilegiamo in particolare l’esposizione in termini di duration a Indonesia e Cina. L’Indonesia ci piace per via dell’outlook favorevole sull’inflazione, del potenziale di un ulteriore allentamento della politica monetaria, dei rendimenti reali interessanti e di un contesto politico stabile. Siamo ottimisti riguardo alle obbligazioni cinesi nonostante l’incertezza relativa al commercio mondiale perché beneficeranno del crescente interesse e dei flussi di denaro degli investitori: la recente inclusione dei titoli di Stato cinesi negli indici (indice Bloomberg Barclays Global Aggregate nell’aprile 2019 e indice JP Local Currency Government Bond nel febbraio 2020) sono passi importanti nel percorso di apertura dei mercati dei capitali che potrebbero portare a un afflusso di 300 miliardi di dollari Usa sul mercato locale dei titoli di Stato. Questo fattore tecnico, unitamente all’orientamento espansivo della politica economica in Cina, dovrebbe favorire l’ulteriore sovraperformance delle obbligazioni locali cinesi.

Sul fronte valutario, quali sono le vostre convinzioni d’investimento riguardo alle valute asiatiche?

Siamo meno favorevoli sulle valute asiatiche rispetto ai titoli di Stato in valuta locale e in valuta forte, perché le valute dei Paesi emergenti continuano a risentire degli shock causati dall’evoluzione della guerra commerciale. In particolare, siamo prudenti riguardo alle valute strettamente correlate ai conflitti commerciali come il dollaro taiwanese e il won sudcoreano (il dollaro Usa fornisce un carry positivo rispetto al Twd e al Krw). Rimaniamo favorevoli ad alcune valute ad alto rendimento in Asia (ad es. la rupia indonesiana e la rupia indiana).

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