I 10 requisiti-chiave per calcolare le commissioni di performance

A cura di Morningstar

L’Esma (autorità europea di vigilanza sui mercati) sta lavorando al documento finale sulle linee-guida per le commissioni di incentivo applicate dai fondi agli investitori. Dopo una prima bozza messa in consultazione a luglio, ha ricevuto 36 risposte e commenti da associazioni di categoria (incluse le italiane Assogestioni e Anasf), società di gestione, tra cui alcune delle più grandi (BlackRock, Amundi e Generali Investments, per citarne alcune) e altri operatori del settore, compresa Morningstar.

La pratica delle performance fee è piuttosto diffusa in Europa, soprattutto in alcuni paesi, ma con forti disomogeneità nelle regole di calcolo e comunicazione agli investitori. Secondo i dati Morningstar, questa voce di costo è applicata da circa 5 mila fondi su un numero totale che si aggira attorno ai 26.400. Assogestioni stima che il 67% di comparti domiciliati in Italia ne siano soggetti, ma è molto comune anche in Lussemburgo, dove hanno sede molti strumenti disponibili nel Belpaese.

Metodi di calcolo

Nella maggior parte dei casi, le commissioni di incentivo applicate in Europa sono asimmetriche, con l’uso di un tasso minimo di rendimento (hurdle rate) o dell’High Water Mark. Inquest’ultimo caso, il calcolo deve tenere presenti non solo i rendimenti positivi, ma anche le eventuali perdite pregresse. L’Hwm segna il punto più alto raggiunto. Può essere assoluto, per cui l’incentivo è prelevato solo se il valore della quota è aumentato e il valore raggiunto è superiore a quello mai toccato in precedenza; oppure relativo, quindi comparato a un indice di riferimento.

Più chiarezza per gli investitori

Nella sua risposta a Esma, Morningstar si è detta d’accordo con l’autorità di vigilanza sulla necessità di una maggiore standardizzazione a beneficio degli investitori. In particolare, dovrebbe diventare più facile comparare le perfomance fee applicate dai fondi in modo da comprendere se sono eque e ragionevoli, comprendere il massimo e minimo costo dell’investimento e valutarne la congruità.

“La standardizzazione non necessariamente dovrebbe estendersi a definire o permettere certe strutture di costi o impedirne di innovative”, spiega Andy Pettit, direttore Policy research Emea di Morningstar. “Una tabella chiara che fornisca le caratteristiche-chiave sarebbe di maggior aiuto agli investitori e fornirebbe più trasparenza da parte dei fondi”.

I 10 ingredienti

Elenchiamo di seguito le voci considerate fondamentali per la comprensione delle commissioni di incentivo e alcuni numeri puramente esemplificativi:
-Commissione di gestione base: 0,90%
-Commissione di incentivo: 20%
-Tasso minimo (hurdle rate): 0,90%
-Benchmark: Ftse Mib
-High Water Mark (opzioni possibili: assoluto, relativo, nessuno): Sì, assoluto
-Periodo di cristallizzazione (periodo di riferimento per il calcolo): 3 anni
-Data in cui l’ultimo Hwm è stato raggiunto: 20/11/2018
-Possibilità di reset dell’Hwm: No
-Data dell’ultimo reset dell’Hwn: ND
-Tetto massimo commissionale: 2,50%

L’importanza del benchmark

Affinché questo schema funzioni a beneficio degli investitori, servono tre requisiti-chiave. Il primo è la scelta di un benchmark appropriato. Il fattore di partenza è che l’indice scelto rifletta l’universo investibile del fondo, così come è specificato nel documento informativo (Kiid), in termini di tipo di attività finanziarie, aree geografiche, valute e capitalizzazione di mercato. In secondo luogo, l’indice dovrebbe essere calcolato in un modo il più possibile coerente con il fondo con riferimento alla valuta, alla politica di copertura del rischio di cambio e alla distribuzione dei dividendi. “Se i benchmark non soddisfano questi requisiti, aumentano le probabilità che gli investitori paghino commissioni aggiuntive, indipendentemente dalla performance del fondo rispetto all’indice”, afferma Pettit.

Il principio di equità

Un secondo requisito-chiave è che il calcolo degli oneri di incentivo avvenga sui rendimenti netti, cioè una volta dedotti gli altri costi, per evitare che siano addebitate su altre commissioni, anziché sulle performance realmente ottenute. Morningstar non indica la preferenza per una struttura piuttosto che un’altra, ma chiede che sia impostata in un modo equo sia per il sottoscrittore sia per il fondo. Detto in altre parole, che non sia vantaggiosa solo per il gestore.
Esempi positivi sono le fulcrum fee: se il fondo realizza una performance superiore rispetto a un benchmark coerente, il fund manager incasserà la commissione di gestione base e quella di incentivo. Al contrario, in caso di sottoperformance, la management fee si ridurrà con conseguente penalizzazione del gestore per la mancata creazione di valore.

Un altro esempio sono le strutture asimmetriche che impongono una bassa commissione di gestione fissa e una di incentivo sul ritorno in eccesso rispetto a un indice rilevante. Morningstar boccia, invece, le performance fee che si aggiungono a costi di gestione “tradizionali”, senza prevedere un tasso minimo di rendimento per essere applicate. “Sono un modo sfacciato per raddoppiare i costi a carico degli investitori ed equivalgono a un dipendente che riceve un bonus garantito, oltre al suo stipendio, indipendentemente dai risultati ottenuti”, ammonisce Pettit.

Gli alternativi non fanno eccezione

Terzo requisito-chiave è che le linee guida Esma si applichino non solo ai fondi conformi alla direttiva Ucits (quelli comuni tradizionali), ma anche agli alternativi (AIF, alternative investment fund) distribuiti agli investitori privati, perché non c’è ragione per cui debbano essere trattati con minor rigore con riferimento alle strutture commissionali, nonostante abbiano invece minori vincoli sugli investimenti e la liquidità.

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