In particolare, sottolineano gli analisti di Equita, sono interessate le società che gestiscono autostrade, aeroporti, porti, sfruttamento di acque minerali, power generation (ipotizziamo le società idroelettriche), distributori di energia elettrica, ferrovie e società radiofoniche e tv.
Nel 2015 una norma simile che prevedeva un’addizionale del 4% per tutte le società del settore energetico fu giudicata incostituzionale, ma in questo caso il governo sta introducendo l’addizionale per le società che operano su concessioni ministeriali e quindi andrà verificato come interpreterà la Corte Costituzionale (se ci saranno ricorsi) lo status di queste società.
La relazione tecnica del governo prevede un risultato pre-tax di 12,3 miliardi dei soggetti colpiti dalla maggiorazione dell’imposta con un maggior gettito di 370 milioni annui, che nel 2020 salirà a 647 milioni perché dovranno essere versate dalle società anche le imposte relative al 2019.
L’impatto sulle società quotate
Per calcolare i potenziali impatti sugli utili, nel caso delle utility gli analisti di Equita hanno assunto che l’applicazione della maggiore imposta si riferisca solo agli utili attesi nalla “Distribuzione Elettrica” e nella “Produzione Hydro” (business in concessione), attendendosi un impatto annuo (doppio in termini di cash sul 2019) di circa 50-60 milioni annui per il gruppo Atlantia (pari a circa il 3-4% dell’utile netto adj.), di 70 milioni per Enel (1-2% dell’utile) e del 3% sugli utili di Astm.
Per le altre utilities stimano un impatto fra l’1 e il 2% degli utili per Erg, Hera, Iren, A2a e Acea. Snam, Italgas, Terna, Falck e Asc non sarebbero impattate da questa norma.
La notizia è negativa, commentano gli analisti, “perché crea incertezza sul settore utility, dall’altro lato il fatto che l’impatto sia limitato a 3 anni e non sia in perpetuity riduce potenzialmente l’impatto sulla valutazione, se la maggiore tassazione fosse considerata come un one-off”.