Dollaro e sol levante

Nella notte, infatti, c’è stata la decisione sui tassi da parte della BoJ: tassi fermi allo 0,1% (e questo era quasi scontato) nonostante le pressioni da parte del governo di combattere la potenziale deflazione,  uno spettro che si aggira per le menti dei colleghi nipponici.  Quindi abbiamo il primo ministro deputato Naoto Kan che è preoccupato per la deflazione potenziale, mentre il governatore Shirakawa vede una ripresa dell’economia giapponese.

Questo potrebbe portare ad una escalation delle tensioni tra governo e banca centrale, ma forse i nostri lettori più arguti hanno già capito a che gioco si sta giocando: guardando alla “sinfonia” creata da Fed e amministrazione Obama (che quasi si tengono per mano), anche il governo nipponico vuole agire in coro con la BoJ e per questo utilizza la parola deflazione (termine caro a qualsiasi banchiere centrale).  Ma quello che si vorrebbe, ossia spesa pubblica finanziata da acquisti di obbligazioni da parte della BoJ, è un azzardo morale che comprometterebbe l’indipendenza e la credibilità della BoJ. Quindi la fiducia dei consumatori deve giungere da altre fonti, più reali.

Stamani affrontiamo anche il dilemma del dollaro dal punto di vista asiatico. Che esista un carry trade  del  dollaro come moneta di finanziamento lo sappiamo, ma in oriente si inizia a temere qualcosa di più grande: lo scoppio di una potenziale “bolla”. 

In effetti ci si finanzia in dollari e si vanno a comprare attività finanziarie più rischiose e quindi più remunerative (alpha-bearing , come si dice in gergo) che guarda a caso si trovano in Korea, Taiwan, Singapore e Hong Kong. I prezzi degli asset si sono elevati parecchio, così come le comodities; certo, le banche centrali di questi paesi potrebbero alzare i tassi per calmierare l’inflazione importata, ma il rialzo dei rendimenti non farebbe altro che attirare ulteriori capitali stranieri, alimentando il problema. 

E quando ci sarà una politica monetaria anche lontanamente restrittiva da parte della Fed? Ci sarà probabilmente una fuga di capitali ingente che rischia di assomigliare allo scoppio di una bolla. Per questo vediamo acquisti di dollari da parte di queste banche centrali, oltre che discussioni su controlli dei flussi di capitali.

EurUsd – 60 min

Concludiamo oggi con uno sguardo al futuro: il mese di dicembre, dal punto di vista storico, è interessante per il mercato dei cambi. L’euro ha sempre performato bene in dicembre, e ancora meglio ha fatto il NzdUsd. Insomma un po’ di ciclicità esiste e anche durante questi due anni di mercati irruenti abbiamo ancora capisaldi validi.

Uno spunto interessante, passando all’analisi tecnica, potrebbe essere preso in considerazione sul cambio eurodollaro. Partendo dal presupposto che, affiché si modifichi radicalmente lo scenario, il cambio deve fuoriuscire dal noto range compreso fra 1.4820 e 1.5060, osserviamo con l’ausilio di un grafico a 60 minuti come si sia venuta a creare una resistenza intermedia nei pressi di 1.4975. Questa è data dalla trendline dinamica discendente dall’ultimo massimo di 1.5050, della settimana scorsa, confermata perfettamente due giorni fa. Il medesimo timeframe aiuta ad apprezzare la diminuzione del range di prezzi giornaliero, aggiungendo così un elemento che ci lascia immaginare il cambio, ben presto, alla rottura di uno dei due livelli.

Più passano le ore e più sembra destino, per il cambio UsdJpy, il raggiungimento di 88 figura. Abbiamo visto da almeno quattro giorni la ricerca del mercato di minimi via via decrescenti. La trendline superiore di negazione di questo movimento di discesa, quindi la resistenza, transita nelle prossime ore in area 89.75.

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