Criptovalute in portafoglio?

A cura di Morningstar

Le monete virtuali stanno per essere usate come un comune mezzo di pagamento? E potrebbero entrare nei portafogli degli investitori? La Francia ha detto che sarà il primo Paese europeo a sperimentare l’emissione di una valuta digitale curata direttamente dalla Banca centrale. I test dovrebbero partire già nel 2020.

La Bce, da parte sua, secondo alcuni report starebbe studiando le modalità per emettere una sua cripto-valuta. L’obiettivo, in questo caso, sarebbe quello di semplificare i pagamenti in un momento in cui sempre più stati si stanno spostando verso le transazioni senza contanti. In Svezia, ad esempio, secondo i dati del governo, i pagamenti cash rappresentano il 19% delle transazioni totali, mentre nel Regno Unito questa forma di spesa nel giro di 10 anni rappresenterà il 9% delle operazioni.

Qui però c’è un problema: Consiglio e Commissione europea non vogliono dare mandato all’Eurotower di studiare una criptovaluta pubblica. I due organismi, tuttavia, non possono dare indicazioni alla Bce senza mettere a rischio la sua indipendenza. Va anche notato che l’attuale Presidente della Banca, Christine Lagarde, quando era a capo del Fondo monetario internazionale aveva affermato che le monete digitali, supportate dai governi, avrebbero potuto aiutare le persone e le aziende nelle regioni più remote e marginali.

Criptovalute nei fondi

Nel Regno Unito, intanto, a metà novembre la UK Jurisdiction Taskforce of the Lawtech Delivery Panel (un gruppo di lavoro governativo che ha l’obiettivo di dare indicazioni sugli aspetti legali della digitalizzazione del paese) ha indicato che i fund manager potrebbero presto essere in grado di inserirle nei loro portafogli. Il supporto della taskforce potrebbe anche fare un favore a Facebook che, a inizio di quest’anno, ha annunciato l’intenzione di lanciare la sua criptovaluta (chiamata Libra). Il gigante dei social media sperava di lanciare la divisa l’anno prossimo, ma ha dovuto fare i conti con una serie di problemi, fra cui il ritiro dal progetto di nomi di alto profilo come eBay, Visa e Mastercard.

L’interesse delle case di gestione per le criptovalute, peraltro, è tutto da dimostrare. Secondo una ricerca della società di analisi Crypto Fund Research, ad esempio, nel 2019 (fino a fine ottobre) sono stati chiusi 70 hedge fund dedicati alle monete virtuali. Il numero dei nuovi lanci, inoltre, è stato meno della metà rispetto al 2018. A influire è stato il calo registrato dalle monete digitali. Il bitcoin (la divisa virtuale più famosa) oggi ha un valore di circa 7mila dollari. Una quotazione ben lontana dai massimi storici di oltre 20mila dollari toccati il 17 dicembre 2017 e dalla quale si è allontanata in mezzo a forti scossoni.

Andamento del lancio di hedge fund dedicati alle cripto-valute nel corso degli anni
hedge funds

Poca scelta per i retail

Dal punto di vista di un risparmiatore italiano che cerchi uno strumento specializzato da mettere in portafoglio, le opzioni per ora sono scarse, anche perché la normativa europea ancora non consente questi fondi per i retail. Il panorama, però, sta cambiando.

L’anno scorso, sulla piazza di Zurigo, ha debuttato un Etp (Exchange traded product) che replica un paniere di monete digitali. Amun Crypto Basket Index Etp ha iniziato a trattare a un prezzo di 15,64 dollari. Oggi il suo valore oscilla attorno a 16,7 dollari, mentre il 26 giugno aveva raggiunto un massimo a 33,6 dollari. L’Etp offre agli investitori idonei, professionali ma anche retail in Svizzera, l’accesso a un paniere diversificato di criptovalute, che viene ribilanciato ogni mese.

A inizio dicembre, invece, WisdomTree ha annunciato il lancio sul Swiss Stock Exchange del suo primo prodotto su cryptocurrency: il WisdomTree Bitcoin Etp. Il prodotto si rivolge solo agli investitori professionali, ma a WisdomTree sono convinti che, nel prossimo futuro, un cryptocurrency ETP potrebbe ricevere l’approvazione normativa per l’uso da parte della più ampia comunità di investitori.

L’alternativa, nel frattempo, è quella di operare direttamente sulle criptovalute. La negoziazione su queste currency oggi è consentita da una miriade di piattaforme. E investire in questi mercati è abbastanza semplice: basta registrarsi e aprire un wallet digitale (portafoglio digitale personale) per iniziare il trading.

Ma è meglio fare attenzione. Come più volte ribadito da Consob:
– le piattaforme di scambio su cui si acquistano e vendono valute digitali non sono attualmente regolamentate, quindi non è prevista una tutela legale specifica in caso di contenzioso o fallimento;
– a differenza degli intermediari autorizzati, non sono tenute ad alcuna garanzia di qualità del servizio, né devono rispettare requisiti patrimoniali o procedure di controllo interno e gestione dei rischi, con conseguente elevata probabilità di frodi ed esposizione al cybercrime;
– ci sono rischi di controparte, di mercato, di liquidità e di esecuzione;
– non c’è garanzia di un’immediata conversione delle criptovalute in moneta ufficiale a prezzi di mercato.

Un ruolo in portafoglio?

Ma quale ruolo potrebbe avere una criptovaluta in un portafoglio? “La prima domanda da farsi quando si tratta con un potenziale investimento è se è in grado di distribuire denaro”, spiega John Rekenthaler, vice president della ricerca Morningstar. “I più sicuri, fra gli strumenti che si possono analizzare facilmente, sono quelli che danno un pagamento regolare”.

La lista di Rekenthaler, da quelli più sicuri a quelli meno safe è composta da:
-1) i conti correnti bancari e le emissioni di debito da parte di organizzazioni con un buon merito di credito;
-2) gli asset che pagano dividendo e le obbligazioni high yield;
-3) i titoli che non distribuiscono denaro oggi, ma potrebbero farlo in futuro;
– 4) gli emittenti che non pagheranno mai.

“Quando investe Warren Buffett cerca di avere in portafoglio titoli che rientrano nel gruppo uno e due. Tenta di essere opportunista con quelli del gruppo tre. Non tocca mai quelli del numero quattro”, dice Rekenthaler.

Le criptovalute sembrano rientrare nel gruppo numero quattro. “Come i pezzetti di rame, le piume di struzzo e le conchiglie, le valute virtuali sono un mezzo di scambio più che qualcosa in grado di creare, da solo, della ricchezza”, spiega Rekenthaler. Possono essere utilizzate per acquistare denaro, ma non ne creano. Il vostro bitcoin non sarà mai in grado di darvi un dividendo così come non lo può fare una piuma di struzzo”.

Il fatto che le valute virtuali non creino denaro non significa che non abbiano valore. “Nel corso della storia l’oro e le gemme hanno avuto quotazioni affidabili e hanno anche trovato applicazioni pratiche”, dice Rekenthaler. “Da questo punto di vista le criptovalute possono avere un valore industriale. Molte persone, per le ragioni più diverse, possono preferirle come mezzo di pagamento”.

Bisogna tenere poi conto che si tratta di un segmento in cui non esistono barriere all’ingresso di nuovi concorrenti. La società di analisi CoinMarketCap conta a oggi più di 2.100 valute virtuali il cui valore dipende in larga parte da quanto viene utilizzato. “Restando nel paragone con l’oro, dal 1500 al 1800 il valore del metallo giallo è crollato dell’80% con l’arrivo del minerale dal Nuovo mondo”.

Insomma, avrebbe senso utilizzare le criptovalute come strumento di investimento? “La buona notizia è che questo asset si comporterebbe in maniera diversa rispetto a alle azioni e ai bond e fornirebbe quindi una buona diversificazione”, dice Rekenthaler. “Tra l’altro il trading sarebbe più semplice rispetto ad altri asset tangibili. Il problema è su dove orientarsi: quando si tratta di rendimento di un investimento, le alternative possono essere molte”.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!