Ottimismo e cautela, la strana coppia che caratterizzerà i mercati nei prossimi mesi

A cura di Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte Sim

L’anno si avvia alla fine ed è il momento della riflessione sul nuovo anno. Come spesso accade in questa fase dell’anno, gli “oroscopi” si sprecano. Proviamo a mettere alcuni paletti per provare a fornire qualche spunto di meditazione con cui accompagnare le festività. Semplici riflessioni, senza avere l’ambizione di avere la visione perfetta, come sembra suggerire il numero del prossimo anno ossia 20/20, che per il mondo anglosassone rappresenta il punteggio massimo attribuibile alla vista.

Prima riflessione. Alla fine, deal Usa-Cina fu, almeno a parole. E tanto bastò per scatenare il rally di fine anno. In tutta onestà, come scritto nel precedente report, aspettavo che i cinesi cercassero di trascinare i negoziati fino al loro Capodanno. Invece il deal è arrivato, anche se con qualche aggiunta “alla cinese”.

Le ultime notizie segnalano che la Cina firmerà l’accordo non tramite il suo Presidente (che non andrà a Davos a fine gennaio) ma tramite il suo Vicepremier che si recherà appositamente negli Usa ad inizio gennaio. Forse un modo per rendere palese che la Cina attribuisce poco peso a questo accordo e probabilmente in parte potrebbe non rispettarlo. Sembra quasi la battuta della celebre commedia di De Filippo “Natale in casa Cupiello”, quando il figlio Tommasino (in arte Luca De Filippo), sotto la spinta forte dal padre (Eduardo De Filippo), a dare gli auguri al non amato zio dice: “Cento di questi giorni ma… con qualche malattia”.

Seconda riflessione. Il consenso, che lo scorso anno profetizzava la fine del lungo trend al ribasso dei tassi, immaginando almeno due rialzi della Fed e spingendosi in alcuni casi anche a riesumare manovre del passato (come ad esempio l’operation twist), quest’anno si è arreso. L’ipotesi è che, ormai, i tassi siano destinati a rimanere bassi. Le formule spesso citate a tal proposito sono: “low for longer” o “low forever”. Con tassi bassi le aspettative diventano estremamente rosee, come indicato dall’indicatore Fear&Greed della Cnn. L’ulteriore logica conseguenza è che il posto migliore dove investire è l’azionario, per il quale le attese medie di rialzo sono pari a circa il 5% in termini di S&P 500.

Terza riflessione: la temuta inversione della curva dei tassi Usa (sul segmento 2-10 anni) si è alla fine verificata durante l’estate. Ma, di fronte a un inarrestabile trend al rialzo delle borse, il povero Laocoonte (alias la curva dei tassi), che prova a mettere in guardia gli operatori al celebre grido “timeo danaos et dona ferentes”, è stato inghiottito dai serpenti intonanti “this time is different”.

Siamo d’accordo con questa visione? Per saperlo passiamo alla sezione (con estrema umiltà e modestia) operativa.

Operativamente

Parto dai tassi, a mio avviso il fulcro per provare a delineare uno scenario con una dose tollerabile di errori. Da diversi anni sposo l’ipotesi di un trend primario decrescente dei tassi, con sole temporanee (benché talvolta non brevissime) fasi rialziste. Le ragioni sono molteplici ma, a mio avviso, due sono quelle principali: 1) il trend tecnologico che ha ridotto drasticamente i costi di produzione grazie anche a una diffusa delocalizzazione; 2) il trend demografico, che sta attraversando una fase acuta di invecchiamento delle principali economie sviluppate (Giappone, Germania e Italia in primis).

Se è giusta l’assunzione di un trend primario ribassista, l’impresa più ardua è riuscire a scansare le temporanee fasi rialziste, soprattutto quando dietro il temporaneo si dovesse celare una durata di qualche mese. Rispetto al consenso la principale differenza è probabilmente qui. Mi riferisco al maggiore peso attribuito all’impatto che potrebbe avere una fase accentuata di rialzo dei tassi e che potrebbe interessare i primi mesi del 2020 (o forse buona parte del primo semestre). La causa potrebbe essere rappresentata dai seguenti fattori:
Banche centrali in fase di rivisitazione del framework di politica monetaria: è ciò che stanno facendo la Bce (con termine prima della fine del 2020) e la Fed (termine lavori a metà del 2020). Tra le modifiche rientra la ridefinizione del target di inflazione, al fine di far percepire che potrebbe essere tollerato uno scostamento significativo verso l’alto. La Lagarde si è spinta anche a dichiarare che potrebbe essere opportuno tenere conto delle aspettative di inflazione dei consumatori (notoriamente più elevate di quelle di mercato) fino a ipotizzare una revisione anche della definizione di inflazione, senza escludere una maggiore inclusione del comparto immobiliare. In altri termini, l’intento sembra essere il seguente: fare intendere che, di fronte a una risalita dei prezzi anche al di sopra del fatidico 2%, le banche centrali non sarebbero allarmate (almeno inizialmente). Tradotto: un modo per spingere i tassi verso l’alto, cercando di cancellare i segni meno in Area euro soprattutto sulla parte a lungo termine, inducendo anche un movimento benefico della curva (più ripida) per il sistema finanziario nel suo complesso.
• Le aspettative di un miglioramento del commercio mondiale indotto da:
o la firma dell’accordo di primo livello Usa-Cina
o l’arrivo di nuovi piani di stimolo fiscale, come ad esempio quello giapponese (dal nuovo anno fiscale), il piano green che la Lagarde ha inserito nel suo manifesto inaugurale, oltre al possibile tentativo di nuovo piano di taglio delle tasse dell’amministrazione Trump, maggiormente focalizzato sui consumatori.

Questi fattori potrebbero condurre il tasso Treasury decennale in area 2,50%- 3% tra il primo e il secondo trimestre del prossimo anno, mentre contestualmente il bund tedesco potrebbe riemergere dal mondo a tassi zero, riportandosi verso area 0,35/0,50. Il tutto in un contesto di curve progressivamente più ripide.

Il rialzo dei tassi potrebbe inizialmente essere salutato come una prova del fatto che davvero qualcosa si sta muovendo in senso positivo per l’economia, come stanno segnalando alcuni indici anticipatori in area Euro e, in particolare, la sintesi offerta dall’indice di sorpresa di Citigroup, al massimo da febbraio 2018. In un mondo caratterizzato da portafogli con elevata duration e borse ai massimi storici negli Usa anche un rialzo di entità tutto sommato marginale potrebbe a un certo punto dare fastidio alle borse. Il livello potrebbe collocarsi proprio in corrispondenza del 2,50/3% del Treasury decennale. Perché proprio questo livello? In un contesto di dividend yield su S&P 500 atteso intorno al 2%, il citato livello dei tassi 2,5%-3% comporterebbe un rapporto tasso/dividend yield ai massimi degli ultimi 5 anni, innescando potenzialmente prese di profitto sui listini azionari.

Il calo dei listini potrebbe essere indotto anche da una Cina meno amichevole rispetto a quanto appare ora alla vigilia della firma dell’accordo di primo livello, dal momento che semplicemente potrebbe rispettare solo limitatamente i suoi impegni scritti probabilmente in forma vaghi e comunque facilmente eludibili.

Il calo dei listini potrebbe però allertare le banche centrali, in particolare la Fed, preoccupata dal possibile impatto in termini di effetto ricchezza e inducendola a tornare in campo non tanto e non solo tramite un taglio dei tassi, ma soprattutto trasformando l’attuale non Qe in un Qe vero e proprio incentrato non più sui bills ma sui t-note sul comparto 2-5 anni. Ciò al fine di stimolare l’effetto benefico dello steepening e dare contemporaneamente la percezione che si tratta di liquidità permanente che arriva al mercato. In questo modo, la Fed potrebbe essere costretta ad agire sotto la spinta anche delle perduranti tensioni sul mercato dei repo.

La Bce, dal canto suo, potrebbe progressivamente trasformare il Qe in un “green Qe”, una volta definita in modo più preciso la cosiddetta tassonomia, ossia la classificazione dei criteri necessari per determinare cosa è da reputarsi finanziariamente green e quindi meritevole degli acquisti dell’Istituto.

L’intervento delle banche centrali potrebbe pertanto ripristinare il trend primario decrescente dei tassi e, di conseguenza, supportare nuovamente i listini azionari che, nel caso Usa, potrebbero nuovamente ricevere il sostegno anche dai buyback, vista la forte correlazione di questi ultimi al livello assoluto dei tassi.

In estrema sintesi: un 2020 potenzialmente caratterizzato da una curva complessa da affrontare, nella forma di tassi temporaneamente in rialzo e tali a un certo punto da indurre un calo dei listini azionari con successivo stimolo per il ritorno in campo delle banche centrali, Fed in primis. Una curva collocabile nell’arco del primo semestre.

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