Il fattore demografico, la sfida del prossimo decennio

A cura di Nathan Sheets, Chief Economist di Pgim Fixed Income, gestore delegato di Pramerica Sgr

Nell’indagare le prospettive economiche più prossime è necessario prendere in considerazione tutti i fattori che potrebbero avere un impatto sui mercati; tra questi l’aspetto demografico rappresenta sicuramente un elemento di analisi. Con il rallentamento della crescita in Cina e una decrescita della popolazione in età lavorativa, gli investitori dovranno farsi trovare pronti a una eventuale decelerazione della crescita globale nel prossimo decennio. Dopo un picco di oltre il +4% nel 2017, il trend si è attestato intorno al +3%, ben al di sotto della media ventennale di quasi il +3,7%. Ci attendiamo che tale scenario sarà accompagnato in futuro da una bassa inflazione, da banche centrali inclini allo stimolo e da tassi di interesse bassi anche sul lungo periodo. Tutto ciò, probabilmente, porterà a un conseguente calo degli spread e dei rendimenti, causato da un precedente acquisto massivo di strumenti ad alto rendimento da parte degli investitori.

Gli aspetti puramente economici di questo contesto ci inducono a prevedere un periodo prolungato di bassa volatilità. Tuttavia, le implicazioni politiche meritano una debita riflessione. Temiamo l’aumento delle dispute intergenerazionali, poiché i lavoratori più giovani oppongono resistenza all’introduzione di tasse più elevate, necessarie per finanziare la spesa previdenziale di una popolazione che invecchia. Parimenti, inoltre, le nuove generazioni potrebbero avanzare richieste per soddisfare le spese di prima necessità. Questa commistione di fattori potrebbe aumentare il rischio che si verifichino, al contempo, un incremento del debito pubblico e una situazione di instabilità politica. Dal punto di vista dei mercati, questo probabilmente rafforzerebbe atteggiamenti di risk-off e aumenterebbe la domanda di beni rifugio.

L’invecchiamento della popolazione si tradurrà, quasi per definizione, in una crescita più lenta della forza lavoro. Per quanto esistano possibili compensazioni, tra cui l’incoraggiamento dei lavoratori a rimanere più a lungo in attività, tali meccanismi difficilmente invertiranno il rallentamento demografico, dando così luogo a una crescita economica a sua volta col freno a mano. A ciò si aggiunge il fatto che le famiglie composte da soggetti in pensione spendano meno di quelle in età lavorativa. Da qui, una crescita più debole dei consumi e della domanda aggregata.

Alcuni Paesi assorbiranno il rallentamento della crescita meglio di altri. Molte delle economie dei mercati emergenti continueranno a registrare una crescita della popolazione in età lavorativa sensibilmente positiva e, più in generale, un’auspicabile crescita economica. L’India è un esempio importante. È probabile che tali Paesi appaiano sempre più dinamici rispetto al resto del mondo e, quindi, attirino un maggiore interesse da parte degli investitori. La domanda che ne consegue è se i loro sistemi finanziari siano in grado di intermediare un potenziale aumento dei flussi di investimento.

Inoltre, alcuni Paesi – attraverso un’economia e un mercato del lavoro più flessibili – agevoleranno la transizione verso tassi più alti nella partecipazione al mercato del lavoro e innovazioni volte al risparmio di manodopera che dovrebbero attenuare gli effetti del cambiamento demografico. Resta da capire esattamente quali Paesi metteranno in campo la necessaria flessibilità. Ma, a rischio di una generalizzazione eccessiva, storicamente l’economia statunitense ha eccelso nella sua capacità di adattarsi agevolmente agli shock, mentre l’Europa ha avuto la tendenza a incontrare difficoltà. Tuttavia, date le crescenti sfide fiscali e le tensioni politiche, non è chiaro se gli Stati Uniti daranno ancora una volta prova di tale dinamismo.

Riteniamo che la crescita cinese scenderà al di sotto del 6% nei primi anni del decennio e scenderà a circa 4,5% entro la fine della decade. Non leggiamo questo rallentamento come un segnale di particolare vulnerabilità. Piuttosto, riflette la realtà dell’attuale maturazione economica del Paese. Con l’aumento del Pil pro capite e l’evoluzione dell’economia sul fronte tecnologico, le risorse economiche vengono impiegate in modo più efficiente. Di conseguenza, le possibilità di ulteriori miglioramenti diventano più limitate e l’andamento della crescita che deriva da tali possibilità è naturalmente moderato. Certamente, se gli squilibri ben documentati dell’economia cinese perturbassero in qualche modo la crescita economica del Paese, ciò comporterebbe ulteriori rischi al ribasso.

Tuttavia, parte delle pressioni economiche e sociali che sono sorte in alcuni Paesi a seguito della rapida integrazione della Cina nell’economia globale potrebbero iniziare a placarsi dal momento che il suo tasso di crescita è in flessione. Quando anche i consumi si adegueranno a questo nuovo trend, è verosimile aspettarsi che crescano le importazioni del Paese che, nel lungo periodo, dovrebbe diventare una fonte di domanda affidabile per l’economia globale, non solo una fonte di maggiore concorrenza e offerta.

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