All’inizio del nuovo decennio le aspettative sull’economia degli Stati uniti sembrano diventare più ottimistiche. Il 2019 è stato un anno molto altalenante per la prima economia mondiale, iniziato con un arresto governativo e proseguito sotto i timori di una recessione provocati da un’intensa guerra commerciale con la Cina. Diatriba che ha infatti danneggiato gli investimenti delle imprese, causando di conseguenza un rallentamento all’espansione economica. Verso la fine dell’anno, la forza economica che porta positività per il 2020 è stata alimentata inaspettatamente dai dati sulla disoccupazione, in controtendenza al rallentamento, molto positivi e da una diminuzione dei rischi ribassisti aiutati dal triplo abbassamento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve. Tuttavia, l’obiettivo prefissato dal presidente Donald Trump di una crescita del Pil del 3% annuo, secondo gli economisti americani rimane ancora molto distante. Le previsioni del tasso potenziale di crescita a lungo termine si aggirano infatti in modo unanime attorno all’1,8% del Prodotto Interno Lordo attuale. Non basta così un primo accordo commerciale per considerare la guerra commerciale con la nazione asiatica conclusa e per interrompere l’accumulo di debito delle imprese.
Diversi i fattori da tenere sotto controllo per verificare se quest’ottimismo per un miglioramento economico si rivelerà effettivamente corretto. Il mercato del lavoro, su tutti, potrebbe non confermare il trend altamente positivo intrapreso gli ultimi mesi del 2019. Le revisioni dei salari previste a febbraio mostrano un declino iniziale che potrebbe incrementarsi nel terzo trimestre con un ulteriore scivolamento dei guadagni medi. A opporsi al mercato del lavoro, il settore immobiliare statunitense registra una domanda repressa che potrebbe consumarsi nel 2020 sfruttando i tassi d’interesse bassi e un incremento dei permessi di costruzione. In secondo luogo sarà da monitorare il settore manifatturiero che sembra concludere la sua contrazione durata per più di metà anno. L’incertezza della domanda, in questo caso, è determinata interamente dal raggiungimento dell’accordo commerciale in modo totalitario nel corso dell’anno prossimo e dall’andamento del dollaro che peserà sulle esportazioni.
Da non dimenticare che le elezioni presidenziali del 2020 alzeranno l’importanza delle economie locali soprattutto in luoghi come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin che hanno contribuito fortemente alla vittoria di Donald Trump nel 2016. I rischi del 2020 sono così da cercare in questi settori e ovviamente gli occhi sono puntati sulle decisioni della Fed. Funzionari interni alla banca centrale mettono in guardia dal pericolo di una prolungata politica espansiva poiché potrebbe attirare gli investitori verso attività più rischiose per rendimenti più elevati.
Euro/dollaro
Inizio d’anno all’insegna della lateralità, con le quotazioni del cambio eur-usd che si confermano a ridosso dell’area di resistenza posta a 1,1200 ovvero 61,8% di ritracciamento di Fibonacci dell’onda ribassista in essere dai massimi di luglio scorso. La volatilità nell’ultimo giorno di trading non sembra essere particolarmente elevata con le quotazioni che non dovrebbero registrare particolari scossoni restando di fatto a ridosso di questo livello. La tenuta di questa resistenza, inoltre, dovrebbe favorire l’avvio di nuovi storni correttivi lasciando il mercato in fase neutrale compresa tra area 1,1200 ed area 1,1050, transito della media mobile a 100 giorni, supportata anche dalla situazione di neutralità degli indicatori di momentum. A questo si aggiunge anche l’ottimismo per una prossima risoluzione della guerra commerciale che ha caratterizzato l’intero 2019 e che vede ora un avvicinamento delle parti verso una risoluzione. In un’ottica di medio periodo, tuttavia, le attese restano favorevoli alla continuazione della fase laterale che ha caratterizzato l’intero ultimo trimestre dell’anno, con quotazioni comprese tra area 1,1200 ed area 1,0900.