Rischio duration o rischio credito?

A cura di Antonio Anniballe, gestore del team Multi Asset Italia di GAM (Italia) SGR

Il 2019 è stato un anno eccezionale non solo per i mercati azionari ma anche per quelli obbligazionari.  Se è vero che lo S&P 500 ha fatto segnare la seconda miglior performance degli ultimi vent’anni, lo stesso vale anche per le obbligazioni corporate americane che hanno avuto un rendimento inferiore al solo 2009. La discesa dei tassi e le manovre espansive delle Banche Centrali hanno schiacciato nuovamente i rendimenti a livelli minimi e, soprattutto per un investitore europeo, ottenere rendimenti positivi da titoli “sicuri” è diventato possibile solo a patto di accettare scadenze che vadano oltre i dieci anni, e comunque su livelli a dir poco risibili (si va dallo 0,3% del governativo trentennale tedesco allo 0,8% di quello francese, ovviamente annuo lordo). Se non si vuole eccedere con il rischio duration, rimanendo nell’alveo dei Paesi Sviluppati, non resta che accettare il rischio credito. Come dicevamo però, anche i titoli societari hanno corso molto nel 2019.

Lo spread dell’indice euro corporate investment grade negli ultimi 12 mesi è passando da oltre 150 punti base a poco meno di 100. Fra i titoli a più elevato merito creditizio, il settore più interessante resta quello finanziario: se decidiamo di restare sulle emissioni senior, le banche italiane offrono spread interessanti anche su scadenze medie, a fronte di fondamentali in alcuni casi migliori di molti competitor Europei; il rischio maggiore in questo caso resta quello paese. Nel caso di emissioni subordinate, il ventaglio di scelta si amplia e si possono trovare spread decisamente più ricchi anche in altri settori e paesi (intorno ai 300/350 punti base).

Nel segmento High Yield gli spread hanno stretto parecchio, passando da oltre 500 punti base di fine 2018 agli attuali 300. I livelli d’indebitamento a livello aggregato, di contro, restano sostenibili e i tassi di default, per il momento, sotto controllo. Il quadro per un risparmiatore Euro, quindi, è tutt’altro che roseo e a poco serve rivolgersi al mercato americano. Se è vero che la curva dei tassi Us è più remunerativa di quella Euro, il costo di copertura della divisa, superiore al 2% annuo, di fatto azzera il differenziale.

Vale quindi la pena investire nei corporate quest’anno?

Probabilmente sì. Se è vero che difficilmente rivedremo i rendimenti registrati nel 2019, al momento l’assenza di spinte inflazionistiche e una crescita economica positiva ma moderata, lasciano pochi dubbi sulle prossime mosse di Fed e Bce. Scontato quindi il sostegno delle Banche Centrali, il credito dovrebbe offrire anche nel 2020 un contributo positivo sia in termini di carry che, in misura minore, di capital gain (ulteriore compressione degli spread). Meglio comunque essere molto selettivi sugli emittenti e non eccedere nella duration.

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