Recessione e prezzi immobiliari: quale legame esiste?

A cura di Idealista.it

Nei prezzi degli immobili si nasconde il peggio delle crisi economiche. Secondo l’Economist, un quarto delle recessioni dagli anni ’60 alla metà del 2000 ha avuto riflessi sui prezzi delle case e sono state tanto peggiori e durature quanto più questo legame è stato forte.

La crisi del 2008 è stata ovviamente emblematica dei problemi insiti nel mercato immobiliare, soprattutto per quanto riguarda il suo risvolto finanziario laddove la concessione di mutui casa è stata completamente avulsa dall’andamento della domanda e soprattutto della possibilità dei sottoscrittori di ripagare il debito. In concomitanza con quella crisi, ricorda l’Economist, il debito nazionale è salito dal 104 al 144% del Pil. Contemporaneamente il prezzo delle case è salito di oltre il 50%, e, secondo il settimanale economico, da allora c’è stato un ulteriore +15% nelle quotazioni del mattone statunitense.

L’aumento dei prezzi delle case non è sempre una cosa buona, avverte però l’Economist: se infatti da un lato la sensazione di possedere una casa di maggiore valore aumenta la fiducia nella propria capacità di spesa (che non è necessariamente reale), dall’altro costi più alti danneggiano la platea di coloro che vivono in affitto, riducendo la oro capacità di spesa su altri fronti. Di conseguenza, anche la crescita economica si fa più lenta. Oltre al fatto che maggiori costi di acquisto casa significa prestiti più consistenti, che come il 2007 ha insegnato non sempre sono sostenibili.

Dal lato dell’offerta, un mercato immobiliare che ha dei problemi danneggia l’economia e in particolare il settore delle costruzioni: meno case nuove disponibili e sempre più costose, come avviene sempre più chiaramente in zone come Londra, San Francisco, ma anche la nostrana Milano, nelle quali trasferirsi diventa impossibile se non si è super ricchi. Con riflessi anche sul Pil nazionale, che, concentrandosi esclusivamente nelle città, si riduce altrove, abbassandosi in media in tutto il Paese.

La carenza di nuove costruzioni secondo l’Economist è quindi un campanello d’allarme che potrebbe preannunciare uno scenario di rallentamento economico. Ulteriori risvolti negativi sono anche ambientali – non poter vivere nella città in cui si lavora implica doverci andare ogni giorno, peggiorando l’impatto ambientale –  e sociali, dato il risentimento dei più giovani, costretti ad avventurosi affitti, contro i baby-boomers, proprietari di grandi case. Anche politicamente, le dinamiche immobiliari sono collegabili alla recrudescenza del populismo, andando ad alimentare le polemiche sulla disuguaglianza sociale.

I peggiori errori che chi governa può quindi commettere – ed ha in effetti commesso – sono quelli di porre troppi vincoli alle nuove costruzioni, incentivare l’acquisto di case pompando i prezzi del mattone e contemporaneamente non prendere contromisure per possibili bolle di prezzo. Condizioni che – anche se l’Economist evidentemente si riferisce più da vicino al mondo britannico – in maniera preoccupante sembrano verificarsi in più di una realtà, comprese alcune realtà italiane, anche oggi.

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