Quel che appare certo, secondo l’esperto, è che gli investitori stiano rivedendo al ribasso le stime di crescita dell’area, già di per sé non eclatanti, sulla base di due elementi: il primo riguarda i dati di produzione industriale di inizio mese, dai quali si sperava di desumere una stabilizzazione del manifatturiero, e che invece hanno marcato l’ennesima variazione negativa (in particolare della locomotiva tedesca); l’altro fattore riguarda la particolare posizione dell’Europa, che ha una produzione significativa in Cina e un notevole volume di interscambio commerciale con il gigante asiatico, non certo di aiuto in questo periodo.

Dollaro sopravvalutato
Per quanto riguarda il rapporto di cambio di maggior peso, ovvero quello con il dollaro, secondo De Palma dal punto di vista tecnico ci sono margini per una possibile continuazione del trend, con obiettivo a 1,05, tenendo conto però che l’ipervenduto potrebbe determinare rimbalzi tecnici.
Dal punto di vista fondamentale invece “il dollaro era, ed è oggi a maggior ragione, sopravvalutato: se prendiamo come riferimento l’indice di parità del potere d’acquisto dell’Ocse, il tasso dovrebbe situarsi tra 1,30 e 1,40. Tuttavia come sappiamo questa relazione tende ad avere una valenza solo nel lunghissimo periodo”.
Dal punto di vista operativo, aggiunge De Palma, “per puntare ad un dollaro in rafforzamento si possono acquistare bond a breve termine, Treasury o corporate, per evitare il rischio durata finanziaria. L’investimento valutario rientra anche nelle scelte di diversificazione e in particolare in questa fase, dove i rischi geopolitici risultano particolarmente elevati, contribuisce a proteggere il portafoglio nella sua veste di valuta rifugio”.
Per quanto riguarda i mercati azionari, “ovviamente un movimento del genere avvantaggia le imprese esportatrici, quelle cioè che hanno costi in euro e una percentuale rilevante di ricavi in dollari. Non ci si deve però scordare dell’impatto che potrebbe avere il coronavirus. Ad esempio il settore del lusso, avvantaggiato da un dollaro forte, può risentire negativamente del potenziale rallentamento dell’economia, così come i titoli petroliferi”.