Il dollaro decolla sull’onda del coronavirus

A cura di Mark Dowding, Cio di BlueBay

Con i timori sul coronavirus che continuano a diffondersi, i rendimenti obbligazionari globali hanno retto abbastanza bene questa settimana, nonostante i dati economici Usa robusti sulla fiducia dei consumatori e delle imprese, l’attività immobiliare residenziale e i prezzi alla produzione.

Le minute della Fed continuano a segnalare che le politiche sono in stand-by. Sebbene la probabilità di una vittoria di Bernie Sanders alle primarie sia aumentata in seguito a un dibattito scadente – che ha intaccato l’ascesa di Michael Bloomberg nei sondaggi – le azioni Usa hanno continuato a segnare nuovi record, in contrasto con i timori riguardo ai rischi al ribasso per l’economia globale. L'”eccezionalismo” della crescita Usa è stato un tema ricorrente nelle ultime settimane. Sulla scia di ciò è stato impressionante vedere il dollaro rafforzarsi rispetto alla maggior parte delle valute globali.

Combattere i fondamentali è difficile

Con i dati economici giapponesi che hanno sorpreso al ribasso e segnali aneddotici diffusi sull’impatto dei timori per il coronavirus sul business in Giappone e nel resto dell’Asia – per fare un esempio personale, ho dovuto cancellare un viaggio a Tokyo che avevo in programma a marzo – è interessante notare che lo yen non si sta più comportando come un porto sicuro. Con la diffusione del virus in Singapore e Corea, le valute asiatiche nel complesso si sono indebolite.

La volatilità sul forex di recente è stata ai minimi, ma sembra che negli ultimi giorni siano stati infranti dei trading range consolidati da lungo tempo. Sebbene sia possibile che il Governo statunitense voglia intervenire per prevenire un ulteriore rafforzamento del dollaro, combattere i fondamentali è difficile e per ora non vi sono ragioni per aspettarsi un’inversione imminente di questo trend.

Nell’Eurozona, l’indice Pmi più debole potrebbe segnalare la vulnerabilità dell’economia a un calo della domanda cinese. La domanda interna europea è più solida, ma per ora è difficile che vi sia una crescita significativa nella prima metà del 2020. Dubitiamo che la Bce reagisca – o sia in grado di reagire – e sebbene le pressioni per l’introduzione di stimoli fiscali ormai possano solo aumentare, Berlino continua a fare orecchie da mercante su questa possibilità.

La sensazione di vittoria in Uk potrebbe impattare sul commercio

La probabile sovraperformance dell’economia britannica post-Brexit potrebbe irritare parecchio i policymaker dell’Eurozona. Nel bilancio Uk di marzo è prevista un’ulteriore espansione fiscale, dato che Johnson sta cercando di raffigurarsi come modello di risposta europea a Donald Trump. Ciò potrebbe portare a un aumento della domanda nei prossimi mesi.

Il maggiore ottimismo economico in seguito al “Boris bounce” potrebbe far emergere un senso di rivalsa tra i sostenitori di Brexit, anche se temiamo che ciò potrebbe rappresentare un pretesto per complicare le negoziazioni commerciali nei prossimi mesi. Quando Bruxelles otterrà il mandato per avviare le negoziazioni settimana prossima, non ci sorprenderemmo se le schermaglie iniziali dovessero portare a titoli pessimistici sui giornali.

Il Regno Unito sta già attaccando la resistenza da parte dell’Ue a concedere ai britannici le stesse condizioni sancite nell’accordo con il Canada, nonostante ciò sembri un’opzione che Bruxelles aveva già messo sul tavolo nel 2016. Nel frattempo, con il Regno Unito che sembra uscire vittorioso da Brexit, si potrebbe assistere a un contrattacco da parte dei policymaker europei con minacce su settori come i servizi finanziari se non verranno garantiti diritti in aree come la pesca. Sicuramente l’idea che il Regno Unito sia in grado di sovraperfomare subito dopo Brexit rappresenta un anatema per i policymaker del Continente.

Dato che potenziali estensioni alla deadline di dicembre dovranno essere concordate entro la fine di giugno, non ci sorprenderemmo se i timori di una hard Brexit dovessero aumentare nei prossimi mesi, prima che venga adottata una posizione pragmatica e trovato un compromesso: non è poi questa la via indicata da Trump nel suo libro “L’arte di fare affari”?

Manteniamo una posizione corta sulla sterlina e abbiamo ridotto gli short che avevamo sui Gilt Uk, dopo la recente sottoperformance di questi rispetto ad altri mercati, dato che diventa sempre più evidente che con il nuovo governo un easing fiscale è più probabile rispetto a un easing monetario.

Guardando avanti…

Continuiamo a monitorare i dati macro della Cina con una pubblicazione frequente, al fine di individuare segnali di un ritorno dell’attività alla normalità. Di certo alcuni di questi indicatori sono rimbalzati in modo piuttosto consistente negli ultimi giorni, grazie alla riapertura delle fabbriche. Tuttavia, rimangono ben al di sotto dei livelli a cui avremmo assistito normalmente e alcuni segnali aneddotici indicano una disruption economica continua e molto diffusa, sia nel manifatturiero che nei servizi. Una contrazione economica in Cina nel primo trimestre sembra quindi inevitabile (al di là di ciò che diranno i dati ufficiali).

Il grande quesito è se ciò che seguirà avrà più la forma di una “V” o la forma di un rimbalzo a “U”, o anche la forma di una “L” allungata, se il coronavirus stenderà un’ombra su tutto l’anno. È difficile dare una risposta troppo precisa a questa domanda. Tuttavia, i Pmi cinesi saranno interessanti da osservare settimana prossima e, più in generale, sarà utile vedere come i timori per il virus stanno impattando in modo più diffuso l’Asia e in particolare se stanno andando oltre la provincia di Hubei.

Detto questo, a meno che non si verifichi una pandemia e un’infezione diffusa negli Stati Uniti, si è tentati di pensare che l’attuale status quo possa proseguire e che gli Usa possano continuare alimentare la propria potenza. Sul fronte valutario, si può invece dire che in uno scenario dominato dalla “corona”, il biglietto verde è destinato a rimanere in cima (alla bottiglia).

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