Fugnoli (Kairos): “Ora è meglio vendere sulla forza che comprare sulla debolezza”

C’è un’ampia dispersione di opinioni, come è giusto che sia, sul momento attuale e sulle prospettive. Anche senza contare i professionisti del panico e gli sconsiderati ottimisti a tutti i costi, tra i commentatori seri le divergenze non potrebbero essere più profonde. Ecco, di seguito, la view di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos.

Sul piano dell’economia, il punto di partenza se si vogliono poi considerare i mercati, non ci si riesce a mettere d’accordo sull’impatto sull’inflazione della rottura delle filiere globali o regionali di produzione. Kenneth Rogoff sostiene che lo shock da offerta in corso non può che spingere verso l’alto i prezzi di tutto quello che viene prodotto di meno per effetto dell’epidemia. Rogoff non esita a evocare lo shock da offerta per antonomasia, la crisi petrolifera del 1973, quando i paesi arabi esportatori di greggio decisero l’embargo delle loro vendite ai paesi occidentali che appoggiavano Israele e, così facendo, causarono un aumento del 400 per cento del prezzo del petrolio in un contesto di inflazione già montante sin dalla fine del decennio precedente.

Altri, come David Rosenberg, insistono invece sullo shock da domanda provocato dalle quarantene e dall’ondata di sfiducia tra i produttori e tra i consumatori. Con i centri commerciali e i saloni dei concessionari vuoti i prezzi, dicono, non possono che scendere.

Per chi investe fa una bella differenza sapere di doversi muoversi in un paradigma anni Settanta (bond in caduta libera, azioni arrancanti, oro bene rifugio) o in un paradigma deflazionistico (bond di qualità in grande rialzo). Il problema è che quello che sta accadendo è uno shock su entrambi i fronti, domanda e offerta, contemporaneamente.

Stiamo già vedendo il prezzo delle mascherine salire sul mercato nero (sono sotto embargo di fatto da parte dei paesi produttori) e quello delle crociere scendere ai minimi. In generale è quindi concepibile che, nel grande calderone degli indici dei prezzi, i due effetti si elidano, soprattutto se si considera anche il peso dei prezzi amministrati (pensiamo alle bollette), che nell’immediato ben difficilmente verranno toccati.

Un terreno su cui è invece certamente presente uno squilibrio è quello delle politiche monetarie. I numerosi critici fanno notare che i tagli dei tassi non curano le epidemie e gli shock da offerta. Se non mi arriva un componente dalla Cina (e tipicamente prodotto solo in Cina), non mi riappare miracolosamente grazie ai tassi più bassi o a un Quantitative easing più aggressivo. Vero, ma, come fa notare David Zervos, a nessuno verrebbe in mente di alzarli, i tassi, nel bel mezzo di un disastro naturale o di un’epidemia. Senonché un ribasso delle borse e un rialzo degli spread di credito come quelli che abbiamo visto in questi giorni costituiscono quello che viene chiamato un restringimento delle condizioni finanziarie e nella fattispecie corrispondono più o meno a un rialzo dei tassi di 50 punti base. Più che giusto, quindi, cominciare a riportare i tassi di fatto almeno al livello precedente lo shock.

L’unico modo sicuro per rimediare agli shock da domanda, d’altra parte, sono politiche fiscali di spesa. Investimenti urgenti nella sanità (ospedali da campo, reparti specializzati, personale medico) sarebbero sacrosanti. Sono cose che si fanno velocemente in tempo di guerra e non si vede perché debbano essere fatte lentamente in tempo di pace. Per il momento gli interventi fiscali in giro per il mondo sono contenuti, ma cresceranno nelle prossime settimane.

Da quanto abbiamo visto emerge che gli effetti più rilevanti dell’epidemia saranno non sul piano macro (che pure verrà colpito duramente, anche se temporaneamente) ma sul piano micro. Ci saranno spostamenti rilevanti di domanda pubblica e privata da un settore all’altro mentre, sul piano dell’offerta, sarà più rapido l’abbandono della filiera produttiva unica globale e rinasceranno filiere regionali che erano state smantellate.

In pratica, quindi, più di un radicale stravolgimento dei pesi delle asset class in portafoglio, sarà necessaria un’attenta verifica dei singoli componenti. In un contesto recessivo di un paio di trimestri si può legittimamente decidere di non vendere e di aspettare la ripresa, che potrà essere forte, ma si deve essere ragionevolmente sicuri sulle capacità dei singoli debitori e delle singole società di rimanere in piedi senza troppi danni permanenti. È il momento della qualità, quindi. Attenzione ai settori difficili (energia, materie prime, line aeree, turismo), dove ci si dovrà concentrare sui nomi più solidi. Attenzione agli emergenti più deboli (quelli di frontiera, non quelli generalmente presenti nei portafogli).

Ampio spazio ai Treasury brevi e all’oro. Nel dubbio tra inflazione e deflazione i Treasury lunghi andranno maneggiati con qualche cautela. L’oro, dal canto suo, farà bene in un contesto inflazionistico (soprattutto se i tassi a breve verranno mantenuti forzatamente bassi) e non farà male, almeno rispetto ad altre classi di asset, in un contesto deflazionistico.

Non c’è bisogno di ricordare che i prossimi mesi li deciderà il virus. Nella spagnola del 1918-19 il primo anno fu molto pesante, ma i danni più gravi arrivarono dopo la tregua estiva nell’inverno del 1919 per una mutazione particolarmente aggressiva. Nei casi più recenti le mutazioni sono state generalmente benigne, ma nessuno sa come potrà andare questa volta. La scommessa è che entro giugno questa prima ondata sia terminata e che per il prossimo inverno sia comunque pronto un vaccino.

Le Borse potrebbero trovare un equilibrio un po’ sotto i livelli attuali, dopodiché sarà il flusso di notizie a determinare le oscillazioni. Non è perduta del tutto la speranza che si ritorni sui massimi più avanti nell’anno, ma occorrerà il verificarsi di una serie di condizioni.

Una di queste si è forse già verificata. Ci riferiamo alla spettacolare rimonta di Biden nelle primarie democratiche. Non dimentichiamo che il virus, per quanto drammatico nelle sue manifestazioni, resterà tra noi, augurabilmente, per qualche mese, mentre la nuova amministrazione americana resterà in carica fino alla fine del 2024. Per il momento sono stati assegnati solo un quinto dei delegati alla convenzione democratica di giugno, ma in un partito d’apparato come il partito democratico il saldarsi dell’apparato e di metà della base dietro Biden renderà a Sanders molto difficile conquistare la nomination.

Per i trader siamo ancora in una fase in cui è meglio vendere sulla forza che comprare sulla debolezza. Per chi guarda più in là il momento per comprare corrisponderà al picco dell’epidemia negli Stati Uniti. Ancora pazienza, dunque.

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