Il debito emergente può fare la differenza, tra epidemie e petrolio

“La diffusione del coronavirus (Covid-19) e il relativo crollo del prezzo del petrolio rappresentano uno shock importante per l’economia globale. La flessione del prezzo del greggio aggiunge disinflazione all’impatto del virus, già di per sé deflazionistico. Ciò ha inevitabilmente ripercussioni sui mercati emergenti. Tuttavia, anche se in questo caso ci sono chiaramente rischi significativi per le valute di questi mercati, siamo sostanzialmente più positivi sulle obbligazioni. Anche tenendo conto del virus, i fondamentali degli emergenti sono in uno stato di forma ragionevole, anche se non spettacolare, e la prospettiva di un dollaro più debole sarà probabilmente fonte di un certo sollievo”. E’ l’opinione di Paul McNamara, direttore degli investimenti per le strategie valutarie e obbligazionarie Emerging Markets di Gam Investments.

“Riteniamo che gli emergenti si trovassero in una buona posizione all’inizio del 2020 – continua McNamara – e i dati sull’attività globale di gennaio confermano la nostra visione di una crescita globale accelerata e diffusa, anche se non esattamente un boom. La bilancia con l’estero degli emergenti era (ed è) in buona salute e non abbiamo visto un significativo slancio inflazionistico al di fuori dell’Europa centrale”.

La diffusione del coronavirus ha provocato un forte shock alla crescita in tutto il mondo e l’introduzione di un aggressivo regime di quarantena in Italia l’8 marzo segna una netta escalation della situazione. “Se le valute degli emergenti hanno finora ceduto dall’inizio dell’anno, la performance obbligazionaria è stata molto più eterogenea, con un incremento dell’1,6% al 6 marzo”, nota l’esperto. “Il crollo del prezzo del petrolio ha rappresentato una forte escalation, in particolare diffondendo la portata del sell off dall’azionario e dalle valute al credito. I mercati sono estremamente volatili”.

Secondo McNamara, “la dinamica chiave all’interno del debito emergente in valuta locale ha molto più a che fare con il posizionamento che con le esposizioni fondamentali. Il Messico, in particolare, è stato particolarmente colpito, essendo uno dei Paesi più popolari all’interno dell’asset class, anche se non è più un importante esportatore di petrolio e ha probabilmente (insieme all’Europa centrale) la minore esposizione alla Cina tra i principali mercati emergenti”.

Prosegue l’esperto di Gam Investments: “Uno sviluppo insolito in questo sell-off è che non è parte di un rafforzamento del dollaro. Il biglietto verde è sceso del 6% rispetto all’euro dai minimi del 20 febbraio e anche l’isolamento dell’Italia e altrove non ha invertito questa tendenza. Anche in questo caso riteniamo che i fattori tecnici abbiano un ruolo importante, anche se la debole risposta degli Stati Uniti all’epidemia e le carenze strutturali del sistema sanitario statunitense avranno probabilmente un ruolo importante”.

Le conclusioni? “Il nostro punto di vista di fondo è che una crescita statunitense più debole sia positiva per le obbligazioni emergenti, ma molto eterogenea per le valute. Riteniamo che l’Europa centrale e la Turchia siano vulnerabili e che Russia e Messico siano ben posizionati. In effetti, i mercati sotto investiti come la Turchia hanno registrato una sovraperformance significativa. Nel frattempo, i Paesi di frontiera Ucraina e Pakistan saranno probabilmente entrambi beneficiari di prezzi dell’energia più bassi”, dice McNamara.

Che aggiunge: “La nostra preoccupazione nei mercati è duplice. In primo luogo la probabilità di una recessione è sensibilmente più alta con la probabile conseguenza di una debolezza delle valute emergenti. Tuttavia, riteniamo che le prospettive per il dollaro si siano mosse in modo significativo e questo potrebbe andare a vantaggio dell’asset class. A differenza del 2008 o del 2013, i mercati emergenti entrano in un periodo di selloff con una forte posizione esterna. Contesti come questo non fanno che rafforzare la nostra opinione che il debito dei mercati emergenti sia un luogo in cui un approccio di gestione attiva degli investimenti possa davvero fare la differenza”.

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