Fugnoli (kairos): “Prepariamoci alla deflazione e a una pioggia di trilioni”

È iniziato tutto con il virus e tutto finirà con il virus. Le misure monetarie e fiscali prese finora, senza dubbio rilevanti e tempestive, terranno in vita settori produttivi e componenti strategiche dei mercati finanziari, impedendo un moltiplicarsi esponenziale dei danni, ma il mondo non inizierà a tornare alla normalità finché il virus non avrà mollato la presa. E perché questo accada occorrerà, salvo sorprese, più tempo di quello che in molti immaginiamo“. Ad affermarlo è Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, che si seguito dettaglia la propria view.

Le ragioni sono due. La prima è che le pandemie hanno i loro tempi. Fermarci (parzialmente) per qualche settimana rallenta ma non arresta il giro del mondo del virus, che non ha mai richiesto meno di sei mesi. La seconda è che, nel caso specifico di Covid-19, il mondo, con pochissime eccezioni, ha guardato al dramma cinese come se si stesse svolgendo su Marte e senza pensare che la campana stava suonando per tutti. Ci si è illusi che bastasse bloccare gli accessi dalla Cina e testare solo chi vi aveva soggiornato e non si è preparato nessun piano B nell’ipotesi che il virus fosse già entrato nel resto del mondo, cosa che, abbiamo poi scoperto, aveva già fatto da settimane. In questo modo si è creato un serbatoio di asintomatici o paucisintomatici contagiosi non censiti e non gestiti che si continua di fatto a non censire e a non gestire.

Che società che Galbraith definì opulente già mezzo secolo fa e che oggi amano sentirsi ipertecnologiche non si siano tenute una scorta strategica di mascherine e abbiano difficoltà a riconvertire impianti per produrle è un piccolo esempio di quanto siamo arrivati impreparati. Probabilmente qualche reggitore del mondo ha inizialmente pensato di fare come si è sempre fatto, di lasciare cioè ammalare e morire una parte della popolazione senza fermare l’economia. Gli ottantenni che hanno memoria dell’asiatica del 1957 (due milioni di morti nel mondo, 100mila in America) ci raccontano che a stare a casa erano solo i malati, mentre tutti gli altri continuavano a lavorare, a frequentare i pub e i ristoranti, ad andare in metropolitana e allo stadio e a sfilare in cortei e parate. Questi stessi reggitori hanno poi cambiato idea, trovandosi così a non avere salvato né l’economia né la salute pubblica.

Ora Bill Gates ci dice che ci vorranno dieci settimane di lockdown per avere ragione del virus. Aggiungiamo che, come sta dimostrando la Cina, anche dopo avere contenuto o anche azzerato l’epidemia, ci saranno conseguenze per tre ragioni. La prima è che se si sconfigge il virus in un paese solo, questo deve mantenere chiuse le frontiere per non essere ricontagiato. La seconda è che anche se si riavvia il proprio motore questo non può andare a regime finché non ci vanno anche i motori degli altri. La terza è che per qualche tempo la propensione a consumare e a investire rimarrà depressa.

Per fortuna, come ci insegna Nassim Taleb, se diamo il peggio di noi quando si tratta di prevenire un disastro, spesso diamo il meglio quando si tratta di reagire. Le banche centrali sono state nel complesso veloci, razionali e, dopo qualche breve esitazione, all’altezza dei problemi. Le politiche fiscali appaiono più confuse, meno coordinate e ancora insufficienti, ma rispetto al 2008 si vedono evidenti progressi. È mancato un coordinamento formale tra monetario e fiscale, ma in filigrana qualcosa si intravede e nelle prossime settimane diventerà più evidente.

L’Europa merita un discorso a parte

Non sappiamo se la Lagarde sia stata a) insensatamente formalista b) succube delle posizioni tedesche o se c) abbia voluto scatenare l’inferno a bella posta per costringere i politici a dare più spazio alla Bce e a fare la loro parte fiscale. Se a) la realtà, specie se drammatica, travolge sempre e comunque i formalismi. Se b) l’euro e l’Europa hanno corso un rischio esistenziale. Se c) la cosa ha funzionato in parte, perché i politici hanno scelto di ributtare la palla alla Bce e lasciarle più spazio, senza per ora fare la loro parte a livello di Unione.

In pochi giorni abbiamo rivissuto in timelapse lo psicodramma tra Germania e Italia del 2011-12 e del 2018. La pancia della Germania vorrebbe sottoporre l’Italia al trattamento greco della svalutazione interna con in aggiunta il trasferimento massiccio di ricchezza privata verso le casse dello Stato via tasse o ristrutturazione del debito pubblico (con bailin se in seguito alla ristrutturazione saltano le banche). Anche in situazioni drammatiche come l’epidemia vorrebbe sempre condizionalità, perché una cicala merita sempre e comunque sacrifici. La testa della Germania sa che l’Italia ha le partite correnti in perfetto ordine, che la distribuzione della ricchezza tra privato e pubblico è affare interno italiano senza effetti negativi sull’esterno e che fare saltare l’Italia significa prendersi il rischio che salti l’euro e che si torni alla lira debole e al marco forte proprio mentre l’export tedesco è sotto attacco su tutti i fronti.

Il compromesso tra la pancia e la testa tedesche consiste nel fare vivere l’Italia in uno stato di ansia perenne, nel manovrare lo spread per farla passare quando serve dall’ansia al terrore senza però mai andare fino in fondo e gettarla nell’abisso. E anzi, se occorre, salvandola per i capelli dopo averla spinta nel vuoto, come è stato in queste ore. E così facendo, come bonus, la Merkel si è evitata un passaggio al Bundestag, la pancia del paese, sui coronabond, che sarebbero stati bocciati.

Respiro per l’Italia, dunque, e, più in generale, nel mondo, ossigeno monetario e fiscale, sostegno alle banche affinché non chiedano indietro i soldi a chi è in difficoltà, curva dei tassi sotto controllo stretto e borse, una volta ripulite dalle situazioni critiche, incoraggiate a darsi una calmata e a trovare un fondo.

Sia chiaro, si tratta di misure di stabilizzazione, non di rilancio. Siamo al pronto soccorso, il paziente è grave, si cerca di salvarlo e di amputare il meno possibile, non di mandarlo a casa guarito. Altre cure, con dosaggi anche più energici di quelli prescritti finora, saranno necessarie nei prossimi tre mesi. Abituiamoci ai trilioni come nuova unità di misura.

Da dove vengono questi trilioni?

Non certo dalle tasse, che con un Pil globale che viaggia all’80 per cento ci porterebbero diritti negli anni Trenta del secolo scorso. I trilioni vengono dal nulla, ovviamente, ma in un quadro potentemente deflazionistico sono come secchi d’acqua sulla pietra rovente, asciugano subito.

Quello che può mantenere viva la speranza in chi ha attività economiche o azioni è che questi trilioni, passata la tempesta, verranno lasciati in circolazione per un lungo tempo, così come Qe e tassi reali negativi sono stati lasciati in essere e resi semipermanenti dopo il 2008. Ci sarà una fiammata inflazionistica, come dopo le guerre? Forse, ma sarà sopportabile.

Tornando al breve termine, le Borse scenderanno ancora?

Se fra qualche settimana saremo ancora al punto di adesso con l’epidemia sì, scenderemo ancora. Lo scenario di base, anche per gli epidemiologi, è però che per l’estate il peggio, o quanto meno la prima ondata, sia alle spalle. Si tornerà quasi a regime e Trump, come ha fatto Xi, dichiarerà sconfitto il virus.

In questo scenario l’assetto mentale dovrebbe passare da che cosa posso vendere a che cosa posso comprare. Questo non significa ancora comprare materialmente, ma prepararsi liste di acquisto. C’è un tempo per tutte le cose e tornerà un giorno anche il tempo per comprare.

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