Il maggiore calo si è registrato nell’ambito dei servizi, il cui indice è sceso a 28,4 da 52,6, mentre contiene la discesa il manifatturiero, almeno per ora: 44,8 da 49,1 di febbraio, con la componente relativa alla sola produzione scesa a 39,5 da 48,7. Al di sotto di quota 50 l’indice Pmi, risultante da un sondaggio fra i responsabili acquisti delle aziende, segnala una contrazione dell’attività.
Ed è solo l’inizio: come sottolinea Ihs Markit – la società che realizza il sondaggio – Francia e Germania, che hanno iniziato relativamente tardi a chiudere le attività per cercare di arginare la diffusione del coronavirus, hanno infatti segnato a marzo flessioni molto consistenti ma inferiori a quelle del resto dell’Europa. In particolare, l’indice flash francese ha segnato una flessione a 30,2 da 52, quello tedesco un calo a 37,2 da 50,7. Anche in questi casi a soffrire maggiormente è stato il settore dei servizi, mentre il manifatturiero ha mostrato una maggiore resistenza. D’altra parte servizi come turismo, viaggi e ristorazione sono stati i comparti inizialmente colpiti dalle misure di contenimento.
Il dato italiano sarà pubblicato il 1° aprile per il manifatturiero e il 3 per i servizi e l’indice composito, e saranno numeri drammatici.
A confermare la gravità della situazione sono anche le indicazioni delle aziende sulla supply chain, che rivelano forti ritardi nelle consegne, inferiori solo a quelli registrate a maggio 2000, mentre i prezzi – che durante i precedenti shock sull’offerta erano aumentati – sono calati nel settore industriale “a un livello non visto da quattro anni – si legge in una nota di Ihs Markit – perché le imprese hanno offerto sconti per aumentare le vendite e ridurre le scorte. Questi sconti sono stati riferiti in modo ampio anche nel settore dei servizi”. In calo anche l’occupazione a livelli mai visti dalla Grande recessione.
Chris Williamson, capo economista di Ihs Markit, spiega che i dati di marzo sono coerenti con una flessione del Pil del 2% nel primo trimestre dell’anno, ma “c’è spazio perché la crisi peggiori”; secondo lo stesso esperto non si può tuttavia escludere una “rottura”, relativamente frequente anche in periodi normali, del collegamento tra l’indicatore e Pil.