Crisi coronavirus, conviene ancora puntare sul debito emergente?

“La pandemia ha messo in pausa l’economia mondiale. Gli ultimi dati mostrano che i mercati emergenti in valuta forte sono scesi di oltre il 19%. In tale categoria, il debito in valuta forte al di sotto dell’investment grade è sceso del 26% mentre il debito in valuta locale è sceso di oltre il 19%, un calo significativo in gran parte dovuto all’effetto valuta”. E’ quanto sottolinea Jeremy Cunningham, Investment Director per il reddito fisso di Capital Group.

L’esperto soittolinea che, all’interno dei mercati emergenti, ci sono variazioni significative, ad esempio tra importatori ed esportatori di petrolio; tra i paesi che sono in grado di lanciare importanti pacchetti di stimolo fiscale e quelli che non possono farlo; tra le economie dipendenti dal turismo e quelle più diversificate. La questione chiave da valutare per gli emergenti ora è la liquidità e la solvibilità dei paesi nei prossimi 6-12 mesi. È importante capire quali mercati emergenti se la caveranno meglio e quali avranno la peggio nella profonda recessione globale che vedremo in questo intervallo di tempo.

“La crescita di molti mercati emergenti – continua Cunningham – è legata all’andamento dell’economia globale, guidata dalla Cina, quindi i segnali di ripresa che arrivano da Oriente sono certamente incoraggianti. Un altro aspetto positivo che abbiamo osservato è la reazione in ambito di politica monetaria e fiscale da parte dei mercati emergenti. Ad esempio, l’Egitto ha tagliato i tassi al 9,25% e la Repubblica Dominicana ha offerto l’esenzione fiscale a coloro che sono stati colpiti da un calo del turismo”.

In termini di impatto della diminuzione del prezzo del petrolio, gli investitori dovrebbero distinguere tra emergenti che ne beneficiano e quelli che non ne beneficiano. “Colombia, Nigeria e Malesia saranno sempre più sotto pressione a causa dell’alto costo di estrazione del petrolio nei rispettivi paesi. La Russia, tra le realtà che hanno subito l’impatto iniziale, presenta ottimi buffer e un’economia diversificata e sarà quindi in grado di resistere a prezzi del petrolio più bassi per periodi più lunghi. Per la Thailandia, il Pakistan e l’India i prezzi del petrolio più bassi saranno invece positivi”, spiega l’esperto di Capital Group.

Le valute emergenti sono sotto pressione, poiché aumenta l’attrattiva del dollaro come porto sicuro. “Quando torneremo a una situazione più normale, dovremmo assistere a un indebolimento del dollaro dagli attuali livelli estremi, il che andrà a beneficio soprattutto del debito dei mercati emergenti in valuta locale. Un ulteriore sostegno nel medio-lungo termine verrà dal calo del prezzo del petrolio, che avrà un impatto positivo sulle valute locali. Ci sarà molta volatilità sul mercato e i tassi di default saliranno, per questo motivo una selezione bottom-up accurata e una prospettiva di lungo termine sono fondamentali”, spiega ancora Cunningham.

Ubp: forte deterioramento dei fondamentali

Anche Karine Jesiolowski, Senior Investment Specialist Emerging Market Fixed Income di Union Bancaire Privée (Ubp), evidenzia che “in tutti i mercati emergenti del reddito fisso, gli spread sono tornati a livelli simili a quelli registrati nell’ultima crisi finanziaria globale o che non si vedevano da allora. Nelle ultime settimane l’asset class ha registrato un sostanziale aumento dei flussi in uscita, il che ha amplificato il sell-off man mano che la liquidità diminuiva”.

E prosegue: “L’impatto della pandemia sulla crescita globale sarà probabilmente più forte di quanto inizialmente previsto, ma riteniamo che la gran parte delle economie emergenti, e la loro diversità (alcune sono ancora poco dipendenti dall’economia globale), dovrebbero contribuire a mitigare questo fenomeno. Inoltre, molte banche centrali dei Paesi emergenti hanno deciso di tagliare i tassi e alcuni governi hanno anche annunciato misure di allentamento fiscale. Il Fmi ha messo a disposizione circa 50 miliardi di dollari attraverso i suoi strumenti di finanziamento d’emergenza a rapida erogazione per i paesi a basso reddito e per i mercati emergenti, con condizioni limitate. Di questi, 10 miliardi di dollari sono stati messi a disposizione a tasso zero per i membri più poveri attraverso la Rapid Credit Facility”.

Non solo: “Il Fmi ha inoltre confermato che se necessario, sarà pronto a mobilitare fino a 1.000 miliardi di dollari in prestiti aggiuntivi. La stessa Fed ha deciso di estendere le linee swap in dollari ad alcune banche centrali dei mercati emergenti, come Brasile, Messico, Corea o Singapore. Tutte queste misure forniranno liquidità e dovrebbero quindi contribuire ad alleviare l’onere per le economie emergenti”.

Secondo Jesiolowski, lo shock provocato dalla pandemia nei paesi sviluppati sembra più importante, anche se i governi e le banche centrali hanno annunciato diverse misure di allentamento monetario e fiscale a sostegno dell’attività economica. “Tuttavia, a causa delle misure di confinamento in tutta Europa e in diversi Stati Usa, è probabile che la recessione colpirà alcuni paesi e, nel complesso, ci aspettiamo nel migliore dei casi una stagnazione dei Paesi sviluppati nel corso dell’anno. Secondo le nostre stime la crescita nei mercati emergenti dovrebbe aggirarsi intorno al 3-3,3%, e ciò significa che il divario tra i mercati emergenti e Paesi sviluppati è destinato ad allargarsi ancora una volta. Questo dovrebbe favorire i flussi di capitale verso i Paesi emergenti, una volta superata l’attuale dislocazione del mercato”.

Come risultato, continua l’esperta, “la nostra scorecard strategica rimane nella fascia bassa di ‘balanced’, con un forte deterioramento dei fondamentali sia nei mercati emergenti che nei Paesi sviluppati in parte compensato dalla forte risposta delle banche centrali e dei governi a livello globale e dal livello delle valutazioni, in quanto le probabilità di default attualmente prezzati indicano a nostro parere una reazione eccessiva”.

Per quanto riguarda i corporate bond dei Paesi emergenti, “ipotizzando una ripresa del 30%, gli spread indicano una probabilità di default del 5,3% nell’investment grade e del 14,4% per gli emittenti high yield. Ricordiamo che durante l’ultima crisi finanziaria globale non ci sono stati default tra gli emittenti IG e si è registrato un picco del 10,9% per gli emittenti HY. Analogamente, nei titoli sovrani, dove il valore di recupero è stato mediamente intorno al 60%, i livelli sono ancora più estremi, con spread che attualmente suggeriscono una probabilità di default del 9,3% per IG e del 27% per i titoli HY, mentre nei precedenti casi di gravi stress del mercato, i default non sono aumentati in modo significativo”, conclude Jesiolowski.

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