Petrolio in un mercato Orso, sopravviveranno le società di qualità

“Le crescenti preoccupazioni riguardo una possibile impennata delle scorte globali di petrolio, causata dalla storica debolezza della domanda legata al coronavirus e dall’interruzione delle dinamiche dell’Opec, hanno causato una volatilità estesa nei mercati del petrolio, facendo precipitare i prezzi verso livelli che potrebbero incentivare i produttori a chiudere i pozzi esistenti. Il collasso del dialogo tra Opec e Russia, che ha portato l’Arabia Saudita ad annunciare piani per aumentare la produzione a più di 11 milioni di barili al giorno entro aprile dai precedenti 9,7 milioni, ha aumentato le pressioni su tutti i produttori di petrolio, soprattutto su quelli che devono affrontare costi più elevati e che non sono membri dell’Opec, come quelli statunitensi e canadesi”. Lo sottolinea Shawn Driscoll, gestore del fondo T. Rowe Price Funds Sicav – Global Natural Resources Equity.

In un contesto che cambia così rapidamente, spiega l’esperto, è difficile capire quanto il coronavirus impatterà sulla domanda, ma è chiaro che le attuali riduzioni stanno avendo effetti significativi. “Sembra che al momento la domanda abbia subito uno shock simile a quello del 2008 che, combinato allo shock sull’offerta imposto dall’Arabia Saudita, crea un contesto in cui i prezzi del petrolio sembrano pronti a precipitare verso la parte superiore della curva dei costi operativi dell’industria, livello al quale i produttori considerano di chiudere alcuni dei loro pozzi. Per il greggio Wti riteniamo che tale livello sia compreso tra i 25 e i 30 dollari al barile“. Di seguito l’analisi di Driscoll.

Cosa abbiamo imparato dal crollo del 2014-2015

L’aumento della produzione di shale oil e di shale gas negli Usa, con il conseguente aumento di produttività, dato che queste aziende hanno introdotto nuove tecnologie e creato economie di scala, ha stimolato l’aumento dell’efficienza nelle operazioni di produzione. Anche i tempi di sviluppo più brevi legati a shale oil e shale gas hanno aiutato questi operatori a conquistare quote di mercato. Non ci sorprenderemmo quindi se i 45 dollari al barile diventassero i nuovi 50 dollari al barile per il Wti, quando riemergeremo da questa flessione, con una produttività che continua ad aumentare.

Tuttavia, i pozzi di estrazione di shale oil e shale gas presentano tassi di declino molto più accentuati rispetto a quelli in acque profonde e di altro tipo convenzionale. Quando i produttori di shale tagliano le spese e riducono l’estrazione, il declino è più rapido e ciò porta a un calo della produzione. Questo fenomeno si è verificato anche durante il crollo dei prezzi del 2014-15, dopo l’aumento della produzione da parte degli estrattori americani di shale e la decisione dell’Opec di non ridurre l’offerta, fattori che insieme hanno gonfiato le scorte di petrolio.

Ci aspettiamo che questo processo si verificherà anche questa volta, con l’aggiustamento dell’offerta dei produttori Usa che aiuterà a ribilanciare il mercato abbastanza velocemente.

Mercato del petrolio Usa sotto pressione

Di conseguenza, riteniamo che l’attuale prezzo del greggio sia abbastanza ragionevole, alla luce di shock simultanei su offerta e domanda mai visti prima. Prezzi così bassi non solo porteranno a deflussi di capitale dal settore – il numero di impianti attivi negli Usa è destinato a diminuire anche del 50% rispetto ai livelli di febbraio 2020 – ma anche alla chiusura di pozzi petroliferi in risposta a un prezzo inferiore ai 30 dollari al barile. Infatti, un calo importante dei livelli di domanda implicherà chiusure di pozzi e riduzione dell’attività di estrazione per ribilanciare il mercato ed evitare un riempimento totale delle scorte.

La buona notizia è che, mentre il prezzo del petrolio potrebbe subire effetti notevoli nel breve periodo, non ci dovrebbe volere molto tempo prima che il mercato torni all’equilibrio. Nonostante i livelli estremi di produzione in Arabia Saudita, ci aspettiamo una ripresa a “V” più avanti quest’anno, in modo simile a quanto avvenuto nel 1986, 1988, 1998, 2008-09 e 2014-15.

In questo contesto, probabilmente vedremo una riduzione di capitali nel mercato petrolifero. Le valutazioni sui multipli dei produttori di shale oil e shale gas Usa sono sotto pressione già da qualche anno, a dimostrazione delle preoccupazioni del mercato sui rendimenti di queste società in un futuro in cui l’attenzione all’ambiente e l’aumento dei veicoli elettrici potrebbero impattare sulla domanda. Allo stato attuale, ci aspettiamo un aumento dei default tra i produttori di petrolio più deboli, soprattutto quelli con asset di bassa qualità, bilanci fragili e debito in scadenza nel breve termine.

Tuttavia, queste sfide potrebbero contribuire a innescare i cambiamenti necessari, compresa un’attenzione maggiore al miglioramento dei rendimenti e alla generazione di flussi di cassa. Nei prossimi anni potremmo assistere anche al consolidamento dell’industria, via via che le logiche di economia di scala diventano più importanti per costi ed efficienza operativa.

Dove trovare le migliori opportunità

Il mercato del petrolio potrebbe rimanere incastrato in un mercato “Orso”, dato che i guadagni in termini di produttività legati ai progressi tecnologici continueranno a impattare sulla curva dei costi degli incentivi e i margini di profitto sui capitali investiti. Ciò, insieme alle considerazioni ambientali, sociali e di governance (Esg), comprimerà i multipli nel settore energetico. Tuttavia, momenti di calo dei prezzi come questo generalmente creano interessanti opportunità di investimento.

Per questo la selezione dei titoli è fondamentale. Tra i produttori di petrolio e gas, favoriamo i titoli che offrono alti potenziali di rendimento, strategie di business solide, management affidabili, strutture di costi competitive e bilanci chiari. Queste qualità dovrebbero aiutare le società a sopravvivere in un mercato “orso”, e a emergerne ancora più forti.

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