A cura di Isabelle Carpentier, fund manager, international equities di Edmond de Rothschild Asset Management
La storia non si ripete. Covid-19 non è il virus della Sars del 2003. Il settore del lusso in Europa non soffrirà solo dell’epidemia in Cina. Lo scorso gennaio, pensavamo che l’epidemia di coronavirus in Cina avrebbe colpito il settore del lusso nel primo trimestre, ma non la crescita dell’intero l’anno della zona. All’epoca era vero, ma questo prima che il virus si diffondesse nel resto del mondo.
La sequenza degli eventi in Cina – un lockdown della popolazione, il divieto di viaggiare a livello locale e sul fronte turistico, la chiusura forzata di quasi tutti i negozi a partire da gennaio e poi un graduale ritorno a condizioni normali – suggerisce che possiamo contare su una lenta ripresa della spesa nella zona nel secondo trimestre. Non sorprende che i dati di vendita del primo trimestre delle aziende europee del lusso mostreranno un gennaio forte in tutto il mondo, un calo dell’80% in media a febbraio, con i consumatori cinesi che rappresentano il 35% delle vendite di lusso totalmente assenti, e un calo più contenuto a marzo in Cina.
Quello che non potevamo aspettarci a gennaio era che l’epidemia locale diventasse una pandemia globale con l’isolamento della popolazione e la graduale chiusura delle occupazioni e dei consumi quotidiani in tutto il mondo. La prevista ripresa in Cina non sarà in grado di compensare il calo delle vendite altrove, in particolare in Europa e negli Stati Uniti. Nel secondo trimestre si prevede un crollo ancora maggiore delle vendite di beni di lusso. A ciò dovrebbe seguire una graduale ripresa nel terzo trimestre e un ritorno alla normalità nel quarto trimestre, il periodo più importante per le vendite. Questo, naturalmente, partendo dal presupposto che la crisi non cambi le abitudini di spesa dei clienti.
Una polarizzazione più evidente
Di fronte a un crollo delle vendite senza precedenti, la risposta del settore lusso potrebbe essere quella di un adeguamento dei costi e del tentativo di ridurre le spese destinate a marketing e pubblicità, almeno per gli eventi in programma quest’anno. Le aziende potrebbero anche cercare di rinegoziare gli affitti. I costi del personale, tuttavia, saranno solo leggermente influenzati dal fatto che si tratta di un settore che forma i suoi artigiani nel lungo periodo e che ha sempre mostrato un forte attaccamento al concetto di responsabilità sociale. I margini saranno seriamente colpiti quest’anno, ciononostante è improbabile che gli investimenti a medio e lungo termine vengano rimessi in discussione, dato che il settore nel suo complesso ha già ridotto la leva finanziaria.
La polarizzazione del settore del lusso non ha smesso di crescere nel corso della ripresa ciclica degli ultimi anni. I marchi più forti generano i margini più alti e la maggior liquidità. L’attuale crisi cristallizzerà le classifiche. I bravi allievi di oggi saranno i primi della classe di domani: è per loro che sarà più facile contenere i costi e conquistare quote di mercato. Le aziende che erano già fragili quando è scoppiata la crisi – quelle impegnate in una fase di ristrutturazione, con un’offerta non sufficientemente diversificata o con troppa esposizione ai rischi stagionali – saranno ancora più fragili quando la crisi sarà alle spalle e potrebbero anche non riuscire a sopravvivere senza un aiuto esterno. In questo contesto, crediamo che la concentrazione del settore continuerà anche quando la crisi si affievolirà. Il consolidamento delle aziende avrà un ruolo ancora più importante quando e come emergeranno nuovi obiettivi.