Rischi per l’Europa, forte peggioramento degli squilibri di crescita e stabilità fiscale

A cura di Chris Iggo, Cio Core Investments di Axa Investment Managers

Una delle poche certezze sul futuro è l’impennata del debito pubblico. Molti di noi si stanno chiedendo come affronteremo questa situazione. Pagheremo più tasse? Come potranno riprendersi i Paesi con una posizione fiscale più difficile? Le misure per il contenimento del debito e dell’inflazione sono un’opzione realistica? Nei prossimi anni, la maggior parte delle economie avrà un Pil più contenuto e un debito più elevato e, nel contempo, dovremo mantenere i tassi di interesse bassi. I titoli di Stato forse sono sicuri, tuttavia è improbabile che possano produrre un buon rendimento reale.

Ci troviamo ancora in acque molto agitate, mentre le banche centrali acquistano titoli immettendo liquidità sul mercato e la propensione al rischio scende di fronte ai dati economici preoccupanti e ai tristi resoconti sul numero di morti giornalieri. La volatilità, pur essendo ancora alta rispetto allo standard prima della crisi, in genere sta scendendo poiché i mercati sono affaticati dagli avvenimenti delle ultime settimane e non vedono sufficienti progressi da investire maggiormente nella ripresa economica. La fase di realizzazione dei piani fiscali e degli interventi delle banche centrali dovrebbe ridare un po’ di fiducia, ma più a lungo gli investitori dovranno attendere che altri Paesi mostrino qualche segnale di miglioramento della curva pandemica, maggiori sono le possibilità che i prezzi degli strumenti più esposti al rischio scontino un futuro difficile.

Stime incerte

Gli economisti stanno rivedendo continuamente le stime sul Pil, che dipendono molto dai progressi nelle prime due fasi del percorso di ripresa, ovvero l’appiattimento della curva pandemica e la rapidità e il ritmo con cui si uscirà dai lockdown. La ripresa del Pil dipende dalle dinamiche della quarantena: maggiore sarà la rapidità con cui verranno allentate le restrizioni, maggiore potrà essere il rimbalzo dell’attività economica (anche se non necessariamente). Ho esaminato le stime di consensus per il Pil trimestrale di Bloomberg, e in molti casi i dati trimestrali indicano una ripresa a forma di V nel momento in cui le economie torneranno al lavoro e si ritornerà a qualche forma di socialità. Anche qualora queste cifre risultassero ottimiste, la maggior parte dei Paesi chiuderà comunque il 2020 con un Pil reale assai inferiore a quello della fine del 2019. Sospetto che la maggior parte di tali stime presupponga la chiusura totale delle politiche di contenimento prima della fine dell’anno, ma c’è sempre il rischio che ciò non accada e che qualche forma di lockdown persista per mesi. Per determinare la rapidità con cui verranno ridotte le restrizioni, le autorità cercheranno di capire se sia stato raggiunto un certo grado di immunità sociale, o se sia stata trovata una soluzione farmaceutica contro il virus.

Dimentichiamoci della crescita

Dopo la crisi finanziaria globale avevo impostato un foglio di calcolo per monitorare il Pil reale di diversi Paesi sviluppati, aggiornato trimestralmente sulla base dei dati Ocse. Il punto di partenza era l’ultimo trimestre del 2007 quando il Pil globale aveva raggiunto il livello massimo prima che iniziasse il credit crunch. Il ciclo ha toccato il fondo nel 2009 e nei dieci anni successivi la maggior parte dei Paesi ha registrato una crescita moderata fino alla fine dello scorso anno. Durante tale decennio il Pil è cresciuto di più negli Stati Uniti e in Canada, seguiti da Germania, Regno Unito e Francia. Spagna e Italia sono ricadute nella recessione nel 2012, durante la crisi del debito sovrano nell’Eurozona. Purtroppo l’Italia ha faticato a recuperare. Sulla base dei dati di consensus Bloomberg, il Pil italiano alla fine del 2020 probabilmente sarà del 10% circa inferiore al dato del 4° trimestre del 2007, oltre 12 anni fa. In base a tali stime, l’Italia sarà quindi “più povera” della Germania del 18% circa rispetto al 2007. Non ci stupiamo dunque delle crepe nell’Area euro.

Il caso Italia

Il debito pubblico italiano ha continuato a salire in tale periodo. L’inflazione non è stata molta, dunque a fronte di un debito nominale in aumento e di un Pil reale in calo, il rapporto tra debito e Pil è salito da poco oltre il 100% al 135% circa. Secondo le stime, entro la fine dell’anno supererà il 150%, ovvero sarà di oltre 2.500 miliardi di euro (più di 40mila euro per ogni cittadino). Gli indicatori sono peggiorati rispetto al 2012. La grande differenza è che l’Ue ha deciso e dimostrato che intende fare tutto quanto in suo potere per salvare l’euro. Questo significa inviare più aiuti all’Italia in futuro, per sostenere la crescita e alleggerire in qualche modo l’onere del debito, attraverso l’acquisto sproporzionato del debito italiano da parte della Bce o attraverso qualche forma di mutualizzazione o condivisione del debito. È un tema caldo in Europa in questo momento, dovremo attendere gli accordi tra i leader politici. Se qualche governo del Nord Europa non sembrasse disposto a trovare nuovi modi di alleviare il debito italiano, potrebbe manifestarsi un’ondata di avversione al rischio nei confronti dell’euro, oltre allo stress e alle tensioni provocati direttamente dal virus e dal lockdown. Questo è il rischio più grave per i mercati europei nel breve termine.

Impennata del debito

Queste proiezioni sul Pil sembrano negative per tutti i Paesi, che si troveranno con un Pil assai inferiore al picco della ripresa, anche nell’ipotesi di un rimbalzo a forma di V nel 3° o nel 4° trimestre. Unitamente a un forte aumento del deficit di bilancio, assisteremo a un diffuso incremento del rapporto tra debito pubblico e Pil. Nel Fiscal Monitor di aprile 2020, il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato le proiezioni su saldo fiscale e debito per i Paesi membri nel 2020. Nel complesso, quest’anno le economie avanzate presenteranno un deficit di bilancio del 10% del Pil, in aumento rispetto al 3,0% nel 2019. Secondo le stime, negli Stati Uniti il deficit salirà al 15%, a fronte dell’8,3% nel Regno Unito, del 9,2% in Francia e del 5,5% in Germania, dopo l’avanzo dell’1,4% del Pil registrato lo scorso anno. Nei mercati emergenti quest’anno il rapporto tra deficit e Pil in media raddoppierà. Ciò comporta un forte aumento del rapporto tra debito pubblico lordo e Pil. Nelle economie avanzate il rapporto dovrebbe salire dal 105,2% dello scorso anno al 122,4%, e gli Stati Uniti registreranno un incremento di oltre 20 punti percentuali. L’Area euro nel suo complesso sembra in una situazione migliore, con un rapporto tra debito e Pil del 97,4%, che però nasconde enormi differenze interne, con la Germania al 68,7% e l’Italia al 155,5%. E questo solamente nel 2020. Naturalmente il rischio è che il deficit di bilancio e i prestiti persistano e che il debito continui a salire.

Sicurezza e protezione

Gli strumenti più sicuri in termini di flusso di cassa restano i titoli di Stato core. Il loro rendimento reale potrebbe però peggiorare a meno che non siano protetti dall’inflazione. In Europa, il rischio principale è un forte peggioramento degli squilibri della crescita e della stabilità fiscale. Se l’amministrazione dell’Area euro non si adatterà a tale situazione, allora peggiorerà anche il rischio di credito sovrano. Puntare sui Tips Usa rispetto ai Btp è stata una buona idea recentemente e potrebbe continuare a esserlo in futuro.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!