Mercati di frontiera, le prospettive nell’era del coronavirus

A cura di Emre Akcakmak, Portfolio Advisor di East Capital

I Paesi inclusi nel nostro universo dei mercati di frontiera e dei piccoli emergenti (Fsem) sono stati in generale piuttosto tardivi nel segnalare i primi casi di Covid-19, e non hanno visto crescere i numeri come nei mercati sviluppati, anche a causa delle limitate capacità di test in questa fase iniziale. Concentrandoci, dunque, su dati più tangibili, la demografia è forse il più rilevante. La percentuale della popolazione di età superiore ai 65 anni (la categoria con un alto tasso di mortalità) è significativamente più bassa nei Paesi Fsem rispetto ai mercati sviluppati (5% vs 20%). Speriamo, e ci aspettiamo, che questo contribuisca ad alleviare la pressione sui sistemi sanitari, oltre a limitare la necessità di severe misure di blocco che incidano sull’attività economica.

Nel World Economic Outlook di aprile, il Fmi ha indicato una forte contrazione (3%) del Pil globale rispetto alla precedente previsione di un +3,3% di gennaio 2020. Nel complesso, le previsioni sono molto scoraggianti e sono inferiori alle precedenti stime minime fatte per la maggior parte dei Paesi. Tuttavia, potrebbe essere più interessante adottare una prospettiva biennale per guardare alla crescita, piuttosto che concentrarsi solo sul fondato pessimismo del 2020. Da questa prospettiva, vediamo ragioni per essere cautamente ottimisti su diversi mercati ad alta crescita. In genere quelli con una popolazione numerosa, giovane e in aumento, come Bangladesh, Vietnam, Filippine, Kenya ed Egitto. Questi mercati dovrebbero registrare una crescita subtendenziale, ma dovrebbero anche poter riprendere da dove interrotto quando l’economia globale si stabilizzerà dopo la crisi sanitaria globale.

Il 2020 sarà un anno impegnativo per tutti i governi a causa dell’urgente necessità di soluzioni creative di politica fiscale in un momento in cui le economie stanno rallentando e le entrate derivanti dalle tasse diminuiscono. Abbiamo visto varare pacchetti di stimolo spesso nell’ordine del 2-4% del Pil. Nonostante abbiano tipicamente rapporti debito/Pil più elevati, i mercati sviluppati hanno più munizioni, grazie alle reti di sicurezza finanziaria. La domanda è come i mercati emergenti e di frontiera affronteranno la situazione. Riteniamo che i responsabili politici dovranno semplicemente agire di concerto per attirare il maggior numero possibile di capitali dalle istituzioni internazionali e da altri creditori.

Si prevede che il Fmi sarà molto attivo nel prossimo periodo. Avendo già concordato circa 18 miliardi di dollari di finanziamento rapido con quasi 50 Paesi, crediamo che continuerà a utilizzare la propria potenza di fuoco da mille miliardi di dollari principalmente per le richieste provenienti dai mercati di frontiera. Oltre agli attuali accordi formali in mercati come Egitto e Pakistan, ci aspettiamo un maggiore impegno del Fmi nei mercati di frontiera più grandi come Nigeria, Kenya e Marocco. Le passività esterne saranno un altro grattacapo quest’anno. I disavanzi delle partite correnti dovrebbero diminuire nella maggior parte dei mercati emergenti a causa del rallentamento dell’attività economica, ma probabilmente diventeranno negativi nei Fsem, soprattutto a causa del calo delle entrate da turismo. Anche le rimesse dovrebbero diminuire in media del 20%, per la perdita dei posti di lavoro degli emigrati. Ci aspettiamo che Georgia, Filippine, Egitto, Pakistan e Kenya soffrirano sul fronte dei finanziamenti esterni. Tuttavia, saranno praticamente gli stessi mercati che beneficiano del calo dei prezzi del petrolio. Ci aspettiamo che diverse valute dei mercati di frontiera africani e asiatici rimangano vulnerabili. Tuttavia, ci asteniamo dal trarre conclusioni certe perché l’entità delle debolezze valutarie dipenderà in larga misura dai risultati dell’espansione monetaria senza precedenti della Fed e dal grado di sostegno internazionale da parte del Fmi e di altri creditori.

I Fsem hanno vissuto un periodo molto volatile, soprattutto a marzo. Continuiamo ad aspettarci una minore volatilità dovuta a correlazioni strutturalmente più basse, e la volatilità nei mercati di frontiera a marzo è stata elevata quanto quella nei Paesi sviluppati ed emergenti per tre ragioni. In primo luogo, la pandemia è un evento unico nel suo genere che ha un impatto su tutti i mercati, indipendentemente dalle loro caratteristiche. In secondo luogo, c’è stato anche un significativo shock petrolifero che ha avuto un forte impatto su tutti i Paesi esportatori di petrolio. Terzo, la Cina (che rappresenta circa il 40% dell’Indice EM) è scesa solo del 7,5% in dollari, più che compensando la scarsa performance del resto degli emergenti, che in realtà hanno avuto un andamento peggiore rispetto ai mercati di frontiera (ad esempio, gli EM – esclusa la Cina – hanno perso il 26%, mentre i mercati di frontiera hanno perso, al 6 maggio, il 24%.

Il Covid-19 pone sfide significative per tutti i mercati, non solo quelli di frontiera e i piccoli mercati emergenti. La cattiva notizia è che tutte le economie rallenteranno, e gli equilibri fiscali si deterioreranno ovunque. La buona notizia è che le opzioni di finanziamento rapido sono maggiormente disponibili, soprattutto per coloro che sono pronti a impegnarsi in una nuova spinta a favore delle riforme. Auspichiamo vivamente che i mercati in crescita secolare continuino a svilupparsi indipendentemente dalla crisi sanitaria globale. I cali significativi dei mercati riflettono la maggior parte di queste sfide in un momento in cui si stanno rafforzando gli argomenti a favore di un’inflazione più bassa e di un ambiente con tassi d’interesse più bassi. Ormai superato il panic-selling, ci aspettiamo che la graduale apertura delle economie aiuti la ripresa delle azioni degli Fsem nel prossimo periodo. Inoltre, prevediamo che il Tina (cioè There Is No Alternative) sarà uno dei temi principali a vantaggio delle azioni dei mercati di frontiera e dei piccoli emergenti, quando gli investitori si renderanno conto che i rendimenti dei loro significativi investimenti in depositi e titoli di Stato stanno rapidamente diminuendo.

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