Buyback al tramonto, arriva un nuovo compratore

Come sta andando la pandemia? Volendo fare un primo bilancio notiamo che in paesi come Taiwan, dove la reazione del Governo e della popolazione è stata fin dal primo momento impeccabile, Covid non si è praticamente fatto vedere. All’estremo opposto, paesi come il Brasile, che hanno assunto un atteggiamento negazionista simile a quello che il Sud Africa adottò con l’Hiv negli anni Novanta e Duemila, l’epidemia è in pieno corso e ha un’intensità superiore (anche se non di molto) rispetto alla media globale.

Reagire in modo intelligente, dunque, serve e ha conseguenze positive sia sul piano della salute pubblica sia su quello degli effetti sull’economia.

Dove le cose si complicano e diventano di difficile lettura è in quasi tutti gli altri Paesi. Di fronte a un’ampia dispersione di scelte (lockdown limitato o totale, sua adozione anticipata o ritardata, ritorno alla normalità già iniziato da quasi un mese come in alcuni stati repubblicani americani o rinviato a luglio come in California, tracciamento ampio o contenuto) non si ravvisa una dispersione altrettanto ampia nelle cifre dei contagi e delle vittime. In più, dove c’è una certa dispersione, non è chiaro che cosa ne sia causa. La Svezia, come è noto, ha evitato le misure di confinamento e si ritrova con una seroprevalenza simile a quella italiana e spagnola e, ancora più interessante, con un numero di decessi in rapporto alla popolazione che è meno della metà di quello di Italia, Francia e Spagna. Ancora, gli stati americani che hanno riaperto un mese fa quando i contagi stavano ancora salendo hanno avuto fino a oggi un andamento simile a quello degli altri ancora chiusi.

Questo può significare che l’epidemia ha un andamento suo, ma può anche volere dire che il confinamento ha anch’esso i suoi limiti. Vista la tendenza irrefrenabile degli umani a socializzare e visto che il virus si diffonde più al chiuso che all’aperto, le chiacchiere sul pianerottolo possono essere più pericolose di quelle al parco. D’altra parte la Svezia dimostra che responsabilizzare i singoli in alcuni contesti funziona bene, mentre in altri funziona poco.

Tutto questo ci rafforza nell’idea che, qualunque sia la futura evoluzione del virus, inclusa quindi una ricaduta causata dalla riapertura, non vedremo più confinamenti generalizzati e tantomeno globali. Non solo perché sono un lusso che non ci potremo più permettere economicamente, ma anche perché il beneficio marginale di ogni restrizione è decrescente e discutibile. Senza contare gli aspetti psicologici come l’indisciplina crescente a ogni giorno di confinamento, l’assuefazione all’epidemia, declassata nelle nostre teste da straordinaria a cronica, la voglia di riappropriarci di un minimo di normalità. Se il prossimo inverno vedremo, come accadde con la Spagnola del 1918-19, una seconda ondata ancora più temibile tutto verrà di nuovo messo in discussione, ma per i prossimi sei mesi il massimo che ci possiamo aspettare in caso di ricaduta sono confinamenti brevi e circoscritti, come quelli che stiamo vedendo in Cina in questi giorni.

Poiché l’inverno è ancora lontano e di confinamenti rilevanti non ne faremo più, i mercati vedono davanti a sé molti mesi di dati positivi. In qualche settore la ripresa avrà un andamento irregolare, perché la domanda arretrata spingerà gli acquisti addirittura oltre la media storica per poi normalizzarsi. Gran parte dei settori, tuttavia, vedrà una ripresa graduale e prolungata nel tempo.

Fino alla fine del 2020 vedremo i pessimisti concentrarsi sui dati anno su anno, che continueranno a essere negativi. Gli ottimisti indicheranno invece i dati mese su mese, che saranno positivi. Alla fine prevarranno gli ottimisti, anche perché le banche centrali saranno dalla loro parte.

Chi pensa che sia stato fatto fin troppo in termini di supporto fiscale e monetario farà bene a leggersi i verbali dell’ultima riunione della Fed, da cui emerge chiarissima la paura di non stare facendo abbastanza e la consapevolezza di dovere ricorrere ad altro Quantitative easing nei prossimi mesi. I posteri valuteranno la saggezza di questa risposta alla crisi, ma per il momento i mercati colgono perfettamente il messaggio e cercano di spingere i corsi verso l’alto, facendo leva sui settori meno compromessi ma cominciando anche, correttamente, a degnare anche i ciclici di qualche attenzione.

Il problema, a questo punto, non è se saliremo o scenderemo (se scenderemo ci sarà altro Qe), ma quanto potremo salire ancora senza sovvertire le leggi della fisica e del buon senso. Abbiamo tutti ancora nelle orecchie il suono delle sirene d’allarme quando in febbraio, tre mesi fa, il multiplo sull’S&P 500 è salito a 20 volte gli utili 2020. Ebbene oggi, rispetto agli utili 2021 il multiplo è ancora più alto ed è pari a 21 volte. E ci siamo giocati i buy back, che sono stati il motore principale del rialzo del decennio scorso e che se tutto andrà bene si dimezzeranno.

Perché comprare, allora, o anche solo rimanere investiti? Per due ragioni

La prima è che mentre in febbraio si stava nella sala del Titanic a discutere di quando sarebbe stata la prossima recessione, oggi, che in recessione ci siamo fino al collo, possiamo permetterci il lusso, mentre spaliamo le macerie, di discutere su quanto forte e lunga sarà la prossima ripresa. Un multiplo di 20 alla vigilia di una recessione è più inquietante di un multiplo di 21 alla vigilia di un ciclo di ricostruzione. Certo, è verissimo, storicamente i cicli di ricostruzione iniziano con multipli bassi e con mercati quasi azzerati. Questa volta non è così, ma siamo comunque, paradossalmente, in una situazione psicologicamente meno fragile di quella di febbraio.

La seconda ragione per cui può essere meglio stare in borsa oggi rispetto a tre mesi fa è che i tassi, nel frattempo, sono scesi e scenderanno ancora. Non parliamo qui solo dei tassi di policy ma anche del Qe, sapendo che ogni trilione di Qe equivale grosso modo a un punto di ribasso dei tassi.

Va bene, d’accordo, ma ammesso che sia così chi compra, vista l’uscita di scena dei buy back e visti gli hedge fund che se ne stanno ombrosi alla finestra? We, the people. È il retail che sta difendendo il mercato. I fragili sono usciti in marzo, ma gli altri hanno resistito, aiutati dalla relativa semplicità di questa crisi così simile a una catastrofe naturale che fa tanti danni, certo, ma poi se ne va. E a dare manforte a chi ha resistito hanno cominciato ad arrivare quelli che erano restati ai margini dell’ultima parte del grande rialzo e aspettavano una nuova occasione.

Quanto all’ampiezza del possibile recupero, qui sì, è meglio essere prudenti

Borse vicine ai massimi storici in un anno terribile richiedono nei prossimi mesi molte conferme sia sul piano della salute pubblica sia su quello dell’economia. Se queste conferme arriveranno, di nuovi massimi parleremo di nuovo, ma l’anno prossimo.

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