Più il quadro macroeconomico si stabilizza e meno contano le valutazioni

A cura di Florian Ielpo, Head of Macroeconomic Research di Unigestion

Il quadro macroeconomico rimane molto complesso ma mostra crescenti segnali di stabilizzazione. Nonostante il sentiment negativo degli investitori, i mercati hanno recuperato terreno rispetto ai minimi del 23 marzo, in parte grazie agli interventi delle banche centrali, che hanno raggiunto tre risultati: limitare i rischi di coda, abbassare i tassi a lungo termine e iniettare liquidità nei mercati.

Qualcuno potrebbe sostenere che i titoli azionari sono costosi, ma crediamo che questo punto meriti una discussione più approfondita. Innanzitutto, se i mercati superano lo shock macroeconomico, le attuali quotazioni azionarie dovrebbero essere coerenti con i livelli osservati durante precedenti fasi di ripresa dopo una recessione. In secondo luogo, la concentrazione degli indici azionari cela un quadro nel complesso più equilibrato in termini di valutazioni. Alla luce di questi elementi, stiamo passando progressivamente da un posizionamento neutrale a un’esposizione selettiva agli asset orientati alla crescita.

Una possibile svolta macroeconomica

La situazione macroeconomica svolge un ruolo significativo nel nostro processo di allocazione dinamica. Monitoriamo il quadro macro avvalendoci di diversi indicatori, come i nostri Nowcaster sulla crescita e sull’inflazione, ma anche indicatori a più alta frequenza come i nostri “Newscaster”. La conclusione principale che possiamo trarre da questi indicatori è che la situazione macroeconomica rimane difficile ma stabile. Riscontriamo anche segnali di miglioramento: il 69% dei dati del nostro Newscaster è in miglioramento, ed anche il 61% dei dati cinesi da noi monitorati evidenzia una tendenza al rialzo. Il superamento di questi punti di minimo ha generalmente condotto alla conclusione dei mercati ribassisti.

Nel mese di ottobre 2001, il quadro macro e i mercati hanno raggiunto simultaneamente il punto di inversione, conducendo a un rally durato tre mesi e conclusosi con una doppia flessione. L’ampiezza di questi rally post-crisi è variata dal +10% (nel 2001) al +36% (nel 2009). Nel 1990, i mercati azionari hanno registrato un recupero di circa il +25% rispetto allo shock iniziale.
Questi dati sembrano trasmettere due messaggi importanti. Innanzitutto, esiste una connessione tra il momento in cui l’economia si stabilizza e la ripresa dei mercati. In secondo luogo, più il rallentamento economico è importante, più forte sarà la successiva ripresa. Dal 23 marzo, l’indice S&P 500 ha recuperato il 32%, l’Eurostoxx il 17% e l’Msci All Country World il 28%. Questi dati risultano in linea con le ultime tre recessioni e in particolare con la situazione del 2009. Se il miglioramento delle condizioni macroeconomiche fosse davvero imminente, l’ampiezza dell’attuale rally non sorprenderebbe, specialmente alla luce dell’entità della contrazione azionaria. Ciò che sorprende è che questa ripresa abbia richiesto un quarto del tempo generalmente necessario per un tale recupero.

Le banche centrali hanno accelerato il ritmo della ripresa

Il rally riflette in parte la rapida reazione della Fed e della Bce. Con le sue dichiarazioni e con la veloce espansione del suo bilancio, la Fed ha probabilmente accelerato ciò che i mercati farebbero naturalmente quando l’economia raggiunge il punto di minimo. La Fed ha influenzato i mercati in tre modi: innanzitutto, contenendo i rischi di coda e i default nei mercati (facendo diminuire l’avversione al rischio e, conseguentemente, gli spread di credito), in secondo luogo abbassando i rendimenti delle obbligazioni governative (impatto del fattore di sconto) ed infine iniettando liquidità che deve essere investita.

Selettivamente costose

Data la situazione macroeconomica in via di stabilizzazione, associata al triplice impatto dell’azione della Fed sui mercati finanziari, la questione delle valutazioni diventa ora essenziale. Se si considerano le valutazioni a termine (basate in particolare sugli utili attesi a 12 mesi), gli indici azionari appaiono incredibilmente costosi: i rapporti prezzo/utili si collocano al 99º percentile storico per l’Msci World, l’Msci Emerging e l’S&P 500. Ciò può spiegare il perdurante posizionamento ribassista di molti operatori di mercato: strategie Equity Long/Short, fondi Macro e Cta presentano tutti un beta azionario storicamente basso, che per le ultime due categorie di investitori è persino negativo. Le valutazioni azionarie potrebbero essere uno dei fattori alla base di questa diffidenza.

Crediamo che queste misure di valutazione debbano essere interpretate con buon senso, per un’importante ragione: gli indici hanno registrato un rally in un contesto di forte concentrazione. Solo il 20% dei titoli della Nyse ha chiuso al di sopra della propria media mobile a 200 giorni, in un contesto in cui cinque titoli (i FAANG) rappresentano quasi il 25% dell’indice S&P 500. Ciò significa che la “P” più elevata nel rapporto P/E è indicativa di un rally disomogeneo. Pur continuando a ritenere che il rally “value” non sia ancora imminente (è necessario che l’economia si rafforzi ulteriormente), riteniamo che le quotazioni elevate dei titoli azionari debbano essere riconsiderate alla luce di questo doppio effetto di concentrazione, che può offuscare il quadro in termini di valutazioni.

Da un posizionamento neutrale a un’esposizione alle azioni growth in chiave selettiva

La nostra allocazione dinamica sta passando progressivamente da un posizionamento neutrale a un’esposizione positiva, in chiave opportunistica, a titoli orientati alla crescita selezionati. Per il momento, siamo fotemente orientati verso un sovrappeso sui titoli di Stato, sul credito investment grade, sulle azioni dei mercati emergenti e sui metalli preziosi, e un sottopeso sulle commodity cicliche. Sovrappesiamo le azioni “quality growth”, principalmente tramite gli indici Nasdaq e Smi, sfruttandole per ottenere un’esposizione a un miglioramento della situazione di crescita. Per il momento non pensiamo che le valutazioni debbano essere la principale preoccupazione degli investitori, poiché la situazione macroeconomica si sta stabilizzando e le banche centrali stanno cercando attivamente di mitigare l’entità dei danni finanziari.

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