Usa-Cina, la nuova guerra fredda

A cura di Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di Gam (Italia) Sgr

La ripresa dell’attività produttiva in Cina prosegue a passo spedito ma nuove nubi si affacciano all’orizzonte. Tornano le tensioni fra Pechino e Washington, sullo sfondo di una nuova guerra commerciale e tecnologica.

È ormai passato più di un mese dall’ultimo caso ufficiale di decesso per coronavirus in Cina e questa settimana le autorità hanno dichiarato che, per la prima volta da quando è iniziato il monitoraggio ufficiale a gennaio, non sono state registrate nuove infezioni. Le attività produttive sono riprese in tutto il Paese, la vita sta tornando alla normalità e segnali di ripresa si possono scorgere in tutti i segmenti dell’economia, dalle imprese produttive, ai consumi privati, al mercato immobiliare.

Con l’allentamento progressivo dei lockdown a livello globale, le imprese cinesi dovrebbero trovarsi in una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti europei e americani in quanto già operative e pronte a soddisfare l’incremento di domanda. In questi giorni però, sono tornate di attualità le fra Pechino e Washington, prima con le accuse sulla provenienza del virus, creato in laboratorio secondo l’Amministrazione americana, poi con le proteste contro l’introduzione di una legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong che ne minerebbe l’autonomia. Le recenti mosse della Casa Bianca gettano le basi per un attacco potenzialmente più ampio all’economia cinese che vada oltre il semplice commercio. L’Amministrazione Trump ha recentemente bloccato il previsto investimento in azioni cinesi da parte del Fondo Pensione Federale (Tsp). Oltre a questo continuano le contromosse per contenere l’espansione cinese nel 5G, all’interno di un piano più ampio per limitare le ambizioni in tutta la catena di fornitura di apparati tecnologici.

La Cina ha prontamente risposto con un progetto d’investimenti da 1.400 miliardi di dollari con l’intento di rendersi a sua volta sempre più indipendente dalla tecnologia americana. Le tensioni hanno ovviamente condizionato il listino cinese che nell’ultima settimana è sceso in misura marginale, ma in controtendenza rispetto al resto del mercato. I prezzi sicuramente incorporano ancora le conseguenze dell’epidemia e della precedente tornata di conflitti commerciali.

Le valutazioni dal punto di vista fondamentale restano interessanti e sono a sconto rispetto agli altri listini globali, ma al momento consigliamo prudenza. Riteniamo che Trump intenda mostrare risolutezza nei rapporti con la Cina per risollevare la sua popolarità in vista delle imminenti elezioni, evitando comunque strappi eccessivi al fine di non compromettere la ripresa dell’economia e dei mercati finanziari. Nell’ottica di un’eventuale escalation, l’oro rimane uno strumento di protezione di portafoglio. Non solo perché genericamente utile in caso di rischi geopolitici, ma anche perché la paventata vendita di Treasury da parte della Cina potrebbe aprire le porte ad acquisti maggiori del metallo prezioso e spingerebbe la Fed a politiche ancora più estreme.

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