Tentori (Axa): mercati finanziari, le anomalie del modello economico competitivo

A cura di Alessandro Tentori, Cio di Axa IM Italia

In che stato si trovano i nostri mercati finanziari? Anni di politiche monetarie non convenzionali, monopoli celati dal sipario della globalizzazione, nuovi debiti contratti per coprire un debito già al limite del sostenibile e politiche commerciali paragonabili a dichiarazioni di guerra hanno molto probabilmente cambiato la struttura dei mercati rispetto a quelle che dovrebbero essere le loro funzioni primarie.

In teoria, i mercati finanziari svolgono sei funzioni: 1) trasferimento di fondi (risparmi); 2) aggregazione dell’informazione e coordinazione; 3) efficienza; 4) distribuzione del rischio; 5) liquidità; 6) determinazione dei prezzi. Mi vorrei soffermare su quest’ultimo punto, che mi sembra il più critico alla luce dell’evoluzione del modello di banca centrale. Basti pensare alla Bce, che viene concepita da Otmar Issing alla fine del secolo scorso come istituzione indipendente con un mandato molto preciso (la stabilità dei prezzi). Questa stessa istituzione sarebbe oggi irriconoscibile agli occhi di un osservatore degli anni Novanta, imbevuta com’è di poteri che trascendono l’ambito monetario e che sconfinano spesso e volentieri in politica e sociologia. Ma lo scopo di oggi non è una critica della Bce, torniamo quindi alla domanda originale: lo stato dei nostri mercati finanziari.

I libri di testo ci insegnano a valutare uno strumento finanziario in base al cash flow (e.g. dividendi, cedole ecc.). L’esercizio di valutazione tiene necessariamente conto di parametri importanti come il costo di finanziamento, il rischio di credito, la sensitività al mercato, ai tassi di interesse e così via. La politica monetaria interferisce in questo processo di valutazione su due dimensioni cruciali come il costo di finanziamento e il rischio di credito. Il costo di finanziamento è ovviamente legato ai tassi d’interesse ufficiali e più essi sono bassi, più saranno i progetti d’investimento “fattibili” sulla base del valore presente del cash flow. Il rischio di credito è invece legato allo sconfinamento del Qe sui mercati di titoli corporate, una ingerenza probabilmente necessaria visto l’aumento vertiginoso dello stock di debito, ma che allo stesso tempo è fonte di perplessità per coloro che come noi valutano costantemente gli asset finanziari.

Possiamo avanzare l’ipotesi che i mercati finanziari di oggi siano affetti da due anomalie del modello economico competitivo? Da un lato il “moral hazard”, che viene spesso associato all’opzione put delle banche centrali. Questa anomalia ha l’effetto di abbassare la percezione del rischio finanziario, perché nella valutazione di un asset dobbiamo prezzare anche la contromisura di politica monetaria nel caso di uno scenario negativo. A mio avviso, non si tratta più di una anomalia, ma è business as usual dal lontano settembre 2008. La seconda anomalia viene chiamata selezione avversa e si ricollega al concetto di asimmetria informativa. Faccio notare come questa asimmetria si verifichi prima della transazione, perché una volta effettuato lo scambio al prezzo di equilibrio, il segnale per i mercati è da considerarsi valido. George Akerlof descrisse questo problema nel 1970 in analogia al mercato dell’auto di seconda mano, uno studio che gli valse il Premio Nobel nel 2001.

In conclusione, da anni siamo spettatori di un cambiamento significativo dei mercati finanziari. Le conseguenze di questo cambiamento sono molto importanti, perché hanno un effetto sulla costruzione dei portafogli in investimento. In questo nuovo mondo, le variabili “liquidità” oppure “bilancio della banca centrale” sono significative e devono essere considerate alla pari di variabili tradizionali come il rischio di credito e il tasso di interesse. L’analisi fondamentale, la tradizione accumulata in secoli di valutazione degli investimenti deve necessariamente tenerne conto, sia come amplificatore della performance che del rischio.

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