Pepp e recovery fund segnali positivi, ma non risolvono le divisioni in Europa

A cura di Alexis Bienvenu, Gestore di La Financière de l’Echiquier

Le crisi generano situazioni senza precedenti cui seguono risposte inedite. Ne sono la perfetta dimostrazione quella che stiamo vivendo dall’inizio della diffusione del coronavirus e la pletora di azioni inaudite messe in campo dalle autorità politiche e monetarie. Tra queste, in particolare, una recessione di proporzioni storiche decisa dalla quasi totalità dei Paesi del mondo, l’acquisto da parte della Fed di obbligazioni “speculative” e, per compensare questo “harakiri” economico, l’attuazione in tempi record di piani di sostegno senza alcun paragone. Sono state stanziate diverse migliaia di miliardi di euro (o dollari) in due mesi a livello globale cui si aggiungono un aumento nel giro di poche settimane del bilancio della Fed, superiore all’importo complessivo di tutti gli anni di politica accomodante dal 2008, e la predisposizione di un piano di acquisto di obbligazioni da parte della Bce (il Pandemic Emergency Purchase Program) rivolto ai paesi più indebitati, in particolare l’Italia. Non vanno poi dimenticate le indennità di disoccupazione per coloro che non sono assicurati contro la perdita del lavoro, soprattutto negli Stati Uniti, il cui ammontare è tale che per gran parte dei lavoratori a basso salario si è rivelato finanziariamente più vantaggioso essere disoccupati (600 dollari alla settimana) che lavorare.

Last but not least, tra queste innovazioni vi è il recovery fund presentato dalla Commissione Europea il 25 maggio scorso che, per la prima volta nella storia, prevede un piano articolato in 500 miliardi di euro di sovvenzioni e 250 miliardi di euro di prestiti, finanziati da debito di nuova emissione della Commissione e non più degli Stati membri. È pur vero che un accordo franco-tedesco su un piano così congegnato era stato annunciato la settimana precedente e accolto con favore dai mercati anche se doveva ancora essere approvato da alcuni paesi che si opponevano a una mutualizzazione del debito in assenza di contropartita. La strada, però, è ormai tracciata. Va pur detto che non è stato ancora approvato ma la Commissione non si sarebbe sicuramente assunta il rischio di presentarlo se non fosse stata quasi certa di una sua convalida in occasione del prossimo vertice di giugno.

Questo annuncio, unito alla speranza di un vaccino – seppure ancora risicata – ha spinto i titoli ciclici durante la prima metà della settimana scorsa prima che i difensivi gli subentrassero.
Benché vadano accolte con favore, queste misure non risolvono completamente la questione delle divisioni in seno all’Europa. L’Eurozona continua a essere priva di una vera unità fiscale. E la mutualizzazione del debito, dovuta a una situazione di emergenza, non necessariamente durerà oltre la crisi data l’opposizione di alcuni Paesi. L’Europa non dispone ancora dell’equivalente dei titoli americani del Tesoro, che sono federali.

A livello borsistico, i piani di rilancio, ancorché astronomici, sono certamente un fattore di supporto ma non possono sostenere il mercato a lungo termine di fronte a un’economia che non dà segnali vitali. Prova ne è il Giappone dove, da anni, si susseguono gli stimoli monetari e fiscali, rinnovati la scorsa settimana per quasi 1.000 miliardi di dollari, che non hanno però generato nessuna sovraperformance degna di nota per i titoli giapponesi.

Ma l’alone magico che circonda le prime assolute è impareggiabile. Non lasciamoci andare troppo presto ad atteggiamenti disincantati di fronte alla ritrovata armonia europea o al suo effetto euforico, anche provvisorio, sui mercati.

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