Il raffreddamento bilaterale tra Usa e Cina peserà sullo yuan

A cura di Stéphane Monier, Chief Investment Officer di Banque Lombard Odier & Cie

La disputa tra gli Stati Uniti e la Cina sul commercio e sul dominio globale si è ora allargata, includendo anche la responsabilità della pandemia globale e la leadership tecnologica, fino alla regolamentazione finanziaria e allo status di Hong Kong. Le tensioni complicano molte sfide globali, a cominciare dalla gestione della pandemia.

Il 20 maggio, l’amministrazione statunitense ha delineato un “Approccio Strategico” secondo cui, da quando Usa e Cina hanno intrapreso relazioni diplomatiche quarant’anni fa, i governi americani hanno sopravvalutato l’appetito della Cina per le riforme economiche e politiche. Le critiche degli Stati Uniti, tra cui quelle legate alla mancanza di trasparenza da parte della Cina in merito alle informazioni relative al Covid-19 e alle tecnologie di telecomunicazione 5G, “stanno prendendo in ostaggio le relazioni tra Cina e Usa e spingendo i nostri due paesi sull’orlo di una nuova guerra fredda”, ha affermato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi il 24 maggio.

Le due maggiori potenze economiche del mondo hanno iniziato ad aumentare i dazi sulle importazioni a marzo 2018, per poi giungere a una tregua a dicembre 2019. Le tensioni, oltre a quelle di lunga data su Taiwan e sulla sovranità nel mare Cinese Meridionale, si sono intensificate con l’aumento delle richieste di regolamentazione sulle società cinesi quotate negli Stati Uniti e quando la Cina ha inasprito i controlli sulle crescenti spinte democratiche di Hong Kong.

Le fasi delle negoziazioni

L’insorgenza della tensioni commerciali tra Usa e Cina è precedente all’amministrazione Trump. Durante la presidenza di Barack Obama, gli Stati Uniti hanno cercato di creare un’alleanza alternativa tra partner commerciali, la cosiddetta Trans-Pacific Partnership, escludendo la Cina. La decisione del presidente Trump di utilizzare i dazi sulle importazioni cinesi come strumento per affrontare il deficit commerciale degli Stati Uniti è stata sbagliata, ma ha incoraggiato un cambiamento delle catene di approvvigionamento a livello globale che si è sviluppato ancora più velocemente durante la pandemia di coronavirus.

Nonostante la recente narrativa, la “Fase 1” della tregua della guerra dei dazi raggiunta alla fine del 2019 tra Stati Uniti e Cina resta in vigore, poiché entrambi i paesi riconoscono il valore commerciale dell’accordo. Trump loda il deal come un risultato politico, per il quale il Treasury ha lasciato cadere l’appellativo di “manipolatore di valuta” riservato a Pechino che, dal canto suo, sta onorando gli impegni di acquisto, nonostante le sfide economiche dovute alla crisi innescata dal Covid-19 che hanno spinto il paese a rivedere al ribasso il target del Pil per la prima volta in 30 anni.

Le previsioni del commercio mondiale indicano una stagnazione. Il commercio mostrava già i primi segni di debolezza mentre le due superpotenze esploravano le loro differenze. Il Covid-19 potrebbe ristrutturare le priorità strategiche di molte nazioni, portandole a rivedere le forniture di molti prodotti dati per scontato e che hanno improvvisamente raggiunto un’importanza strategica – come ad esempio le mascherine – invertendo così anche il trend di delocalizzazione al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni.

Sempre il mese scorso, il Senato statunitense ha approvato un disegno di legge che, se venisse approvato, richiederebbe alle aziende straniere di rispettare gli standard di revisione contabile e le normative finanziarie statunitensi. Questo potrebbe costringere le aziende cinesi a dichiarare se sono controllate o detenute dallo stato, o anche persuaderle a quotarsi su altre borse rispetto a quelle statunitensi.

Gli Stati Uniti hanno anche messo sotto controllo le telecomunicazioni 5G e le tecnologie dei chip, escludendo la società cinese Huawei dalle gare d’appalto pubbliche per motivi di sicurezza, continuano a fare pressione sugli alleati, tra cui il Regno Unito, affinché facciano altrettanto.

Un Paese, due ambizioni

Hong Kong adesso rappresenta una cartina tornasole per le tensioni a breve termine tra Stati Uniti e Cina. L’infrastruttura di import/export e il centro finanziario di Hong Kong fungono da gateway tra la Cina e il resto del mondo, a vantaggio di tutti. Dopo le proteste contro il governo/a favore della democrazia iniziate l’anno scorso a Hong Kong contro una legge sull’estradizione, la Cina ha cercato di incrementare il controllo della città.

Il 28 maggio la Cina ha fatto un passo avanti redendo un reato il dissenso che minaccia la sicurezza nazionale, prevedendo anche l’intervento delle forze dell’ordine cinese in città, minando ciò che resta dell’autonomia di Hong Kong da Pechino. Gli Stati Uniti hanno affermato che faranno cadere lo status commerciale di Nazione più favorita (Npf) di Hong Kong e, in risposta, la Cina ha accusato gli Stati Uniti di essere colpevoli di utilizzare una logica di “due pesi e due misure e da gangster”, aggiungendo che il Paese dovrebbe “immediatamente smettere di intromettersi”.

Come fulcro in ambito commerciale, Hong Kong può permettersi di perdere il suo status di partner commerciale degli Stati Uniti, anche se il Paese a stelle e strisce non ha ancora stabilito un programma che porti poi alla perdita di tale status. Ogni anno Hong Kong esporta negli Stati Uniti beni per un valore di 45 miliardi di dollari, e meno dell’uno per cento di questo totale riceve il trattamento tariffario di Npf, quindi l’impatto immediato sarebbe limitato. A lungo termine, e più in generale, l’esclusione di Hong Kong come centro di interazione tra Cina e il resto del mondo per lo spostamento di capitali, sarebbe negativa per tutti.

Gli investimenti della “One Belt, One Road” della Cina, le esposizioni al debito delle nazioni in via di sviluppo, in quanto maggiore creditore del mondo, e il potere d’acquisto globale, fanno sì che le singole nazioni fanno fatica ad opporti alle ambizioni di Pechino. Il governo australiano ha avviato un’indagine sulle origini del coronavirus, mossa che ha portato all’innalzamento di sanzioni alle sue esportazioni di carbone e di carne bovina. Il Regno Unito, ex potenza coloniale di Hong Kong, ha promesso i diritti di immigrazione ai 2,9 milioni di abitanti di Hong Kong nati prima del 1997, quando la città ha smesso di essere una colonia britannica. Questo ha scatenato l’ira di Pechino.

Il disegno di legge a lungo termine

La Cina vuole una proprio moneta di riserva, ma riconosce che ciò richiede tempo e presenta dei costi. Il dollaro, la principale moneta di riserva del mondo, agisce in modo anticiclico rispetto all’economia globale. Questo è uno dei motivi per cui ci aspettiamo che il dollaro non riporti performance positive quando le economie mondiali si lasceranno alle spalle gli effetti di Covid-19 nella seconda metà di quest’anno.

A ottobre 2016 il Fondo Monetario Internazionale ha incluso lo yuan cinese nel paniere di diritti speciali di prelievo (Dsp), una riserva internazionale creata nel 1969 per integrare le riserve degli Stati membri. Il peso iniziale dello yuan, pari al 10,92%, era superiore a quello dello yen o della sterlina (rispettivamente 8,33% e 8,09%). Oggi il dollaro e l’euro rappresentano oltre il 72%. Il percorso per far sì che la Cina diventi un destinatario dei capitali a livello mondiale è ancora lungo. Un’ulteriore internazionalizzazione della valuta richiede una più profonda evoluzione economica, compresa l’apertura di conti di capitale e con flussi di capitali liberalizzati.

Le tensioni che si stanno verificando tra le economie più potenti del mondo sembrano destinate a continuare per lungo tempo e saranno lo sfondo geopolitico persistente e volatile degli il settore degli investimenti per il prossimo decennio e oltre.

Anche se è riuscita a far emergere dalla povertà milioni di persone, a povertà, la Cina sta ancora affrontando la sfida di reinventare il modello economico per renderlo meno dipendente dalla domanda esterna. Gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo di profonda polarizzazione sociale e di cambiamento nell’anno delle elezioni presidenziali. Chiunque siederà alla Casa Bianca il prossimo gennaio avrà molto lavoro da fare per ricucire le relazioni internazionali più importanti del mondo per i decenni a venire.

Implicazioni sugli investimenti

Nel breve periodo, le rinnovate tensioni tra Usa e Cina, per lo più per la colpa della pandemia, suggeriscono che l’accesa narrativa statunitense in vista delle elezioni presidenziali di novembre continuerà a pesare sulla valuta cinese. Abbiamo quindi eliminato la nostra posizione long sullo yuan a inizio maggio. A più lungo termine, gli investitori dovrebbero assicurarsi che gli investimenti riflettano adeguatamente il peso economico e geopolitico di Pechino. Non c’è dubbio che la Cina debba essere trattata come un’allocation a sé stante nei portafogli degli investitori privati, e prevediamo di adeguare di conseguenza la nostra asset allocation strategica nei prossimi mesi.

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