Le diverse ipotesi sul futuro dell’inflazione e dei mercati di Fugnoli (Kairos)

Il passato è un luogo esotico e studiare storia può essere più emozionante che visitare i luoghi più inesplorati, che sono comunque visibili e misurabili perfettamente dai satelliti. Anche se sappiamo come è andata a finire, immergerci nella mentalità, nelle credenze e nel sistema di valori di cento o mille anni fa è molto impegnativo e dà un senso di straniamento. Come è possibile che si credesse e si morisse nel nome di certe cose?

Il futuro è ancora più esotico, perché oltre a non sapere in che cosa crederanno i nostri successori (che guarderanno con incredulità a quello in cui crediamo noi oggi) non sappiamo nemmeno come andrà a finire. Per questo quasi tutte le ipotesi sul futuro sono prolungamenti estrapolativi del presente. Nei casi più sofisticati l’estrapolazione non si limita al presente ma include il passato prossimo. Non proiettiamo sul futuro solo il momento attuale ma anche i cicli che ci hanno condotto fin qui. Ben pochi sono così temerari da ipotizzare le rotture che il futuro creerà. Si tratta infatti di un esercizio terribilmente faticoso, tale da lasciare stremati. Forse non è un caso che scrittori visionari che oggi ammiriamo come Philip Dick o William Burroughs si aiutassero con allucinogeni di ogni tipo.

Chi fa previsioni non ovvie, quindi, va rispettato e comunque ringraziato se ci induce a provare a pensare fuori dagli schemi pigri che ci danno conforto ma possono anche indurci a non capire niente di quello a cui andiamo incontro.

Con questa premessa vorremmo oggi presentare tre paradigmi sul futuro dell’inflazione e dei mercati. Sono contenuti in varie note di ricerca che ci sono pervenute negli ultimi giorni. Ne diamo conto con qualche commento, consapevoli che la realtà, sempre spiazzante, potrà benissimo seguire un corso ancora diverso da quello che i tre paradigmi provano a definire.

Il primo è di Paul Donovan, capo economista di Ubs. È il paradigma più intuitivo e quindi meno sconcertante. È anche rassicurante. Ipotizza una rotazione più vivace del solito dei prezzi relativi (con alcuni che salgono e altri che scendono) e una decelerazione iniziale dell’inflazione (senza connotati deflazionistici) seguita a medio termine da un’inflazione più vivace rispetto a quella del decennio scorso, ma non inquietante. Il pubblico sopravvaluta sempre l’inflazione che verrà, aggiunge, ma nulla, delle politiche monetarie e fiscali in corso, costituisce un vero pericolo. Governi e banche centrali si limitano infatti a tappare gli enormi buchi di domanda creati dalla pandemia e non creano domanda aggiuntiva. Dal canto suo l’aumento dell’offerta di moneta, che gli inflazionisti citano come segnale d’allarme, è in realtà dovuto al fatto che molte imprese, nei tre mesi passati, hanno sfruttato al massimo le linee di credito bancario di cui disponevano e si sono quindi fatte accreditare tutto il possibile. Verosimilmente, tuttavia, questi soldi non verranno spesi per investimenti o per accumulo di scorte, ma verranno mantenuti sul conto corrente a scopo precauzionale.

Quanto al processo di deglobalizzazione in corso, visto in genere come inflazionistico, va considerato per Donovan che le imprese che tornano a casa tendono a ridurre i dipendenti automatizzando i processi. L’aumento di produttività che ne consegue contiene la pressione sui prezzi. In conclusione, se le banche centrali manterranno una certa autonomia, difficilmente vorranno rinunciare ai risultati conseguiti nella loro battaglia quarantennale contro l’inflazione e gli sforamenti che autorizzeranno rispetto al limite del 2 per cento che si sono imposte saranno contenuti.

Gli altri due paradigmi sono proposti da autori che da molto tempo (nel caso di Gary Shilling da quarant’anni) hanno individuato correttamente la natura disinflazionistica del mondo seguito agli anni Settanta e hanno mantenuto la loro forte scommessa sul Treasury trentennale anche nei momenti in cui l’inflazione rimbalzava e in quelli in cui le banche centrali inondavano il mondo di liquidità. Shilling, nel tempo, ha puntato anche su borsa americana e dollaro (vincendo su tutta la linea) perché ha visto disinflazione benigna senza deflazione maligna. Altri, come Albert Edwards di SG, sono diventati giustamente famosi per avere descritto come Era Glaciale (seguita all’Età del Fuoco degli anni Sessanta-Settanta) il quarantennio passato, ma puntando sulla deflazione invece che sulla disinflazione hanno vinto alla grande sul trentennale Treasury ma hanno completamente perso il treno del grande rialzo azionario.

Accomuniamo Shilling ed Edwards nel secondo paradigma, perché entrambi sostengono oggi che siamo di fronte a un drammatico rischio di deflazione (con effetti distruttivi su molti settori dell’azionario). Dopo la fase culminante dell’Era Glaciale seguirà nel tempo quello che Edwards chiama il Grande Disgelo, ma arrivarci vivi non sarà così facile. Certo, la prima risposta delle borse alla pandemia, dopo lo spavento iniziale, è stata costruttiva perché sconta il rallentamento di Covid e gli interventi di sostegno, ma la seconda non potrà evitare di prendere atto dell’ondata di fallimenti che arriverà e della recessione che si prolungherà fin dentro il 2021. Lunghi di Treasuries e di dollaro, dice dunque Shilling, e corti di borsa.

Il terzo paradigma è proposto da un autore profondo e apocalittico quale è Russell Napier. Quella che abbiamo sotto i nostri occhi, dice, è la nascita dell’Età dell’Inflazione, qui e ora. Il decennio scorso ha visto l’espansione della base monetaria, il denaro creato dalle banche centrali. Questo denaro, in gran parte, è però stato ridepositato presso le banche centrali senza creare inflazione. Questa volta i governi prendono direttamente in mano la gestione della crisi e, offrendo garanzie pubbliche sui prestiti bancari, inducono le banche a creare loro denaro, depositandolo sui conti delle imprese come prestito e facendo esplodere l’offerta di moneta. Il denaro creato dalle banche, osserva Napier, ha una carica inflazionistica molto superiore rispetto a quello creato dalle banche centrali. D’altra parte, una volta frantumati i tabù fiscali, la storia dimostra che è ben difficile fermarsi in tempo.

Corollario di questa politica sarà per Napier l’intensificarsi della repressione finanziaria. I tassi verranno tenuti a zero mentre l’inflazione salirà. I tassi a zero permetteranno ai bond e alle borse di non scendere molto di prezzo, ma la penalizzazione arriverà attraverso l’inflazione e l’erosione del potere d’acquisto degli investitori. Solo l’oro si salverà, insieme al real estate e alle azioni di imprese ricche di asset reali e di debiti a tasso fisso a lungo termine.

Che dire? Nel paradigma deflazionistico (il secondo) e in quello inflazionistico (il terzo), che peraltro si elidono tra loro, ci sono elementi interessanti, ma c’è anche qualche forzatura. I deflazionisti non tengono conto della disponibilità di governi e banche centrali a produrre a getto continuo e virtualmente senza limiti nuove misure reflazionistiche. Gli inflazionisti, dal canto loro, non considerano che le garanzie pubbliche sono in buona parte su prestiti già esistenti o da rinnovare e non su prestiti nuovi. Si evitano in questo modo nuove crisi bancarie e si puntellano le imprese, ma non siamo ancora al 2007, quando le banche americane, pur di prestare soldi, concedevano mutui per la casa a chiunque li chiedesse. Questo non toglie che se l’atteggiamento prevalente sarà quello di reflazionare fino al comparire dell’inflazione, possiamo essere certi che questa prima o poi comparirà e che gli inflazionisti vinceranno la sfida. Per quest’anno e per il prossimo, tuttavia, dovremo piuttosto preoccuparci della deflazione e dei suoi effetti non sui corporate di qualità e sugli indici di borsa, che verranno sostenuti, ma certamente sui settori fragili dell’azionario e dell’obbligazionario.

Venendo al breve, l’azionario cerca nervosamente un livello di equilibrio che potrebbe essere poco al di sotto dei livelli attuali. La scommessa di lungo termine sull’azionario (con una leggera prevalenza di ciclici, purché finanziariamente solidi) resta valida, ma va integrata con obbligazioni di qualità, governativi indicizzati e oro.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos

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