Mercati azionari, ottimismo eccessivo?

A cura di Bert Flossbach, co-fondatore, e Tobias Schafföner, Investment Analyst di Flossbach von Storch

I mercati dei capitali restano nella morsa del Covid-19. All’inizio anche noi ci siamo chiesti se esistesse uno schema che potesse descrivere l’andamento della crisi e i suoi effetti a lungo termine, degli indizi, uno schema, magari come quelli della crisi finanziaria del 2008/2009. Ma questa volta non è così semplice!

Per questa ragione oggi continuiamo a concentrarci su aziende caratterizzate da un’elevata qualità, intesa come connubio di potenziale di crescita della stessa azienda e del suo “sistema immunitario”. Quest’ultimo è composto essenzialmente da due aspetti: la resilienza, ossia la capacità degli utili di resistere alle crisi, e la solidità del bilancio. Circa un terzo delle società in cui abbiamo investito ha una posizione di liquidità netta. Per fare un confronto, dei 30 componenti del Dax, solo due hanno queste caratteristiche.

Prospettive: “All-in” delle banche centrali

Dalla prospettiva attuale, anche se dovesse arrivare una “seconda ondata”, è improbabile che le misure da adottare avrebbero una portata analoga a quelle messe in campo finora. A nostro avviso, non si tornerà a ricorrere a rigide restrizioni, come un lockdown nazionale, nemmeno in Cina. Sebbene non sia stato ancora trovato un vaccino, in futuro le conoscenze acquisite sul virus, sulle possibilità di contagio e sul tasso di mortalità dovrebbero aiutare a intraprendere azioni più mirate.

Strategia di investimento

Senza voler prevedere l’evoluzione dei contagi, basiamo la nostra strategia d’investimento sugli effetti a lungo termine della pandemia, ossia la tendenza verso una maggiore digitalizzazione, l’aumento dell’indebitamento, soprattutto nei bilanci pubblici, e il consolidamento di uno scenario a tassi zero. Grazie ai giganteschi pacchetti di salvataggio di molti Stati, soprattutto degli Usa, e alla disponibilità quasi illimitata delle banche centrali a finanziarli, il pericolo di una battuta d’arresto dei mercati azionari paventato a marzo sembra piuttosto improbabile.

Nondimeno, il recente rally delle azioni ha già scontato un rapido ritorno alla normalità. Considerate le profonde incertezze sugli effetti a medio termine della pandemia e l’escalation delle tensioni fra Usa e Cina, questo ottimismo sembra esagerato. D’altro canto, si registra ora una carenza di investimenti redditizi, dovuta al livello storicamente basso dei tassi d’interesse negli Usa, il che ha aumentato l’attrattiva delle azioni e ha contribuito a un incremento sproporzionato delle quotazioni sulle borse americane. Il fatto che i rendimenti dei Treasury statunitensi decennali siano scesi per la prima volta sotto l’1% dovrebbe far capire a molti investitori americani che le azioni sembrano rappresentare ormai l’unica alternativa proficua. Dal punto di vista degli investimenti, infatti, un tale livello di tassi d’interesse non può che apparire assurdo.

L’aumento dei prezzi azionari, combinato con il calo degli utili aziendali, ha spinto le valutazioni a livelli inimmaginabili, giustificabili solo a fronte di una rapida ripresa dei profitti e di tassi d’interesse permanentemente bassi. Ciò significa che la sostenibilità futura dei mercati finanziari dipenderà ancora di più da una politica monetaria espansiva. I massicci incentivi messi in campo durante la crisi rappresentano una forma precoce di “helicopter money”, distribuito dai governi nazionali e finanziato (indirettamente) dalle banche centrali.

Con queste premesse, continuiamo a privilegiare beni materiali, come le azioni e l’oro (non fisico). Poiché è improbabile che la ripresa dell’economia reale e il ritorno allo status quo precedente avvengano così rapidamente come attualmente sperato, abbiamo confermato la copertura su parte dell’esposizione azionaria. Ci concentriamo su società con un’elevata continuità degli utili, bilanci solidi e un potenziale di crescita a lungo termine. Con questa attenzione alla qualità delle società in cui investiamo, i portafogli sono “a prova di crisi”, indipendentemente dalla loro esposizione azionaria.

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