I mercati cinesi post-Covid: tutta questa liquidità deve trovare casa

A cura di Fabrice Jacob, Ceo di JK Capital Management, società parte del Gruppo La Française

Le brillanti performance dei mercati azionari cinesi a giugno non ci appaiono del tutto inattese. Le misure adottate dal governo di Pechino per evitare che una “seconda ondata” di coronavirus colpisse l’economia sono state drastiche e innegabilmente efficienti. Interi quartieri di Pechino sono stati messi in lockdown stretto a metà giugno, quando sono stati identificati circa 100 nuovi casi in prossimità di un mercato alimentare. Più recentemente, la contea di Anxin nella provincia dell’Hubei, a circa 150km da Pechino, ha messo interamente in quarantena i suoi 400mila residenti dopo la segnalazione di appena 18 nuovi casi.

La linea predominante in Asia è stata quella di riaprire le economie locali senza permettere che nessuno entri o esca dai singoli Paesi. I confini rimangono completamente sigillati e per chi rientra in patria vengono disposte rigide procedure di quarantena. Anche nel piccolo triangolo compreso fra Hong Kong, Macao e Shenzen, dove noi abbiamo la nostra base operativa, non vi sono indizi di una prossima riapertura dei confini, nonostante in nessuna di queste tre città siano stati registrati casi per settimane, se non per mesi.

Questa politica sembra efficace, a giudicare dai dati macro: la Cina è all’avanguardia della ripresa insieme a Taiwan e alla Corea del Sud. L’indice Pmi manifatturiero cinese è cresciuto dal 50,6 di maggio al 50,9 di giugno, superando la stima di Bloomberg di 50,4. L’indice Pmi non manifatturiero ha fatto registrare la medesima tendenza, crescendo dal 53,6 di maggio al 54,4 di giugno (la stima Bloomberg era di 53,5). Anche l’indice manifatturiero Pmi Caixin ha fatto segnare un’accelerazione nell’inversione di tendenza, con un dato di 51,2 a giugno, in crescita rispetto al 50,7 di maggio (la stima Bloomberg era di 50,5). A maggio 2020 la produzione industriale era del 4,4% superiore al dato di maggio 2019, mentre i profitti industriali erano del 6% superiori al dato dell’anno precedente. Le vendite al dettaglio a maggio 2020 erano ancora del 2,8% inferiori al dato di maggio 2019, ma si trattava comunque di un deciso miglioramento rispetto al -7,5% di aprile. Per giugno ci si attende un aumento delle vendite su base annuale, di pari passo con l’accelerazione della ripresa.

Con il quadro macro in miglioramento in Cina, ci attendiamo un benefico effetto di trascinamento sul resto dell’Asia, soprattutto in concomitanza con la ripresa degli scambi commerciali. La Cina, con ogni probabilità, tornerà ancora una volta a giocare il suo ruolo di locomotiva economica della regione. L’unico Paese che rimane in condizioni preoccupanti, fra quelli che osserviamo, è l’India, dove il numero dei nuovi casi di Covid-19 continua a crescere su base quotidiana, in netto contrasto con tutti gli altri Paesi del continente. Inoltre le tensioni militari in Ladakh, al confine con la Cina che hanno provocato la morte di almeno 20 soldati a giugno, hanno inaugurato un nuovo periodo di tensione fra i due Paesi proprio nel peggior momento possibile. L’outlook macro dell’India è drammatico: Moody’s anticipa un calo del Pil di -3,1% quest’anno, mentre Crisil, consociata indiana di S&P, prevede un calo del 25% del Pil per il secondo trimestre.

Tornando alla Cina, il quadro macro è uno dei motivi delle notevoli performance dei mercati cinesi il mese scorso. L’altra ragione è l’iniezione di liquidità da parte delle banche centrali occidentali, che sta trovando uno sbocco proprio verso i mercati emergenti. Secondo Bloomberg, gli investitori stranieri sono stati acquirenti netti di “A” shares cinesi continentali (quotate a Shanghai e a Shenzen) per 7,4 miliardi di dollari a giugno. Riteniamo che questo flusso di liquidità non si fermerà qui, dal momento che la Cina sta aprendo attivamente i propri mercati finanziari agli investitori stranieri: banche e assicurazioni ora possono controllare fino al 100% le proprie attività in Cina.

Mentre i mercati finanziari onshore si aprono ulteriormente, ci attendiamo che Msci aumenti ulteriormente la quota destinata alle A shares nei propri indici. Muovendosi con gradualità , fino a ora Msci ha incluso appena il 20% del peso totale che intende dare alle A shares, lasciando così spazio ad una ponderazione pari a cinque volte quella attuale nei suoi indici sia globali che emergenti. Il quantitative easing attualmente posto in atto da Fed e Bce non finirà certo presto, sebbene sia di enormi proporzioni: poiché il Covid-19 continua a diffondersi in Occidente, ci attendiamo ulteriori iniezioni di liquidità. Per mettere le cifre nel giusto contesto, la società di ricerche macroeconomiche Gavekal ha calcolato che l’attuale programma Usa di spese governative per contrastare gli effetti negativi del virus, che già ammonta a 3,7 trilioni di dollari, è equivalente, in dollari correnti, a quasi quattro volte il costo della guerra del Vietnam, a 24 volte il costo dell’intero programma spaziale Apollo della Nasa e a 20 volte il costo del Piano Marshall, che ricostruì l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Tutta questa liquidità deve trovare una destinazione, in un momento in cui i tassi di interesse nei Paesi sviluppati sono negativi o prossimi allo zero. I mercati emergenti, e specialmente i mercati cinesi, particolarmente liquidi e capitalizzati, ne sono i naturali beneficiari, insieme alle proprietà di lusso e ai pezzi da collezione. Dopo aver adottato una politica fiscale e monetaria prudente durante la pandemia, la PBoC ha mantenuto i tassi di interesse cinesi a un livello relativamente attraente: il bond governativo cinese a 10 anni rende attualmente 200 punti base in più del suo omologo statunitense e 330 punti base in più del suo omologo tedesco.

Infine, il mercato di Hong Kong ha goduto di elevata attività nel mese di giugno, con la quotazione di Netease e di JD.com. Queste due aziende, quotandosi a Hong Kong, hanno agito preventivamente anticipando il possibile delisting forzato dei loro Adr dal New York Stock Exchange, insieme a tutte gli altri Adr cinesi a cui il congresso Usa vuole imporre regole restrittive che porterebbero all’abbandono della borsa di Wall Street. Si tratta di un valore di mercato potenzialmente pari a 1,5 trilioni di dollari, ripartito fra circa 250 aziende che con ogni probabilità si trasferiranno da New York ad Hong Kong, Shanghai o Shenzhen nei prossimi due o tre anni.

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