L’euro che crolla è un affare

Patrizio Pazzaglia

Le turbolenze provocate dalla crisi di fiducia che ha investito il debito sovrano di alcuni paesi dell’Eurozona, oltre ai ribassi dei listini azionari del vecchio continente, hanno alimentato anche la debolezza dell’euro nei confronti delle principali valute estere, in particolare del dollaro americano.
È questa inversione nell’andamento dei tassi di cambio tra le due sponde dell’Atlantico la principale vera novità che ha caratterizzato i mercati finanziari in questo primo scorcio del 2010.
Le aspettative di un recupero del biglietto verde erano, infatti, collocate dagli economisti nella seconda metà dell’anno, magari grazie al rialzo dei tassi d’interesse a stelle e strisce, atteso in anticipo rispetto all’analogo intervento restrittivo da parte della Banca Centrale Europea.
Il paradosso è che, da una situazione di crisi finanziaria di alcuni paesi dell’Eurozona, potrebbero scaturirne dei vantaggi con la debolezza della moneta unica che potrebbe addirittura favorire la ripresa del ciclo economico dell’area, in particolare di quei paesi come Italia e Germania maggiormente caratterizzati dalla propensione ad esportare da parte delle proprie imprese.
La flessione dell’euro può fungere, infatti, da stimolo alle esportazioni, grazie alla maggiore competitività dei prezzi dei propri prodotti, in particolare in una situazione congiunturale quale quella attuale caratterizzata da una bassa propensione al consumo e da una generalizzata attenzione verso il rapporto qualità/prezzo.
È per queste ragioni che potrebbe essere opportuno considerare gli ultimi ribassi delle quotazioni, registrate dai mercati azionari europei, come delle opportunità di acquisto, soprattutto su alcuni comparti ciclici ed “export oriented”.
È ovvio che, per giungere a questa benefica conclusione, la svalutazione competitiva dell’euro non deve risultare di carattere temporaneo, ma deve permanere per un certo lasso di tempo ed avvenire in modo graduale e continuativo. L’altra condizione fondamentale è costituita dalla coesione politica degli Stati membri nell’intervenire in modo solidale nei casi di crisi finanziaria dei paesi meno virtuosi, in modo da evitare gli eccessi provocati da un pericoloso effetto domino. Se così sarà, il Pil dell’area euro, previsto dagli analisti in crescita dell’1,20% nel 2010, potrebbe registrare piacevoli sorprese e superare le previsioni di consensus.
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