Bernanke non spaventa i listini

di Patrizio Pazzaglia

Al di là dei timori sulla sostenibilità dei debiti sovrani e dei provvedimenti di politica fiscale da adottare per fare fronte agli squilibri di finanza pubblica, lo spauracchio dei mercati finanziari è ancora rappresentato dai tempi e dalle modalità di attuazione delle politiche di exit strategy da parte delle Banche Centrali.
Ma se, come recita un vecchio proverbio, “il buon giorno si vede dal mattino”, le prime mosse adottate dalla Federal Reserve americana e la reazione delle borse lasciano ben sperare gli investitori. L’intervento sul tasso di sconto, già genericamente annunciato ma comunque improvviso come tempistica, da parte di Ben Bernanke non ha provocato il temuto impatto negativo sugli indici azionari. L’aumento di 25 punti base deliberato dalla Fed è stato infatti recepito come un segnale che l’andamento degli aggregati economico-finanziari sta marciando sulla strada della auspicata ripresa, in poche parole un iniziale segnale di fiducia da parte dell’autorevole Banca Centrale sul futuro del ciclo economico americano. I recenti dati sulla produzione industriale, sulla fiducia delle imprese americane ed i leading indicator di gennaio potrebbero essere dunque alla base di questa scelta finalizzata a “normalizzare” in modo graduale le politiche di sostegno dell’economia da parte della Banca Centrale a stelle e strisce.
Inoltre, nel comunicato che ha accompagnato il provvedimento, la Federal Reserve, al fine di edulcorare la reazione dei mercati, ha ribadito che l’azione restrittiva sui tassi interbancari (Fed funds) non avverrà in tempi brevi e che questi resteranno agli attuali livelli, tra lo 0 e lo 0,25%, per un “periodo esteso”. L’incremento del tasso di sconto va quindi interpretato come un adeguamento di natura tecnica, che non rappresenta ancora una inversione della politica monetaria espansiva.
Intervento di aggiustamento che segue la decisione di porre fine, come annunciato e stabilito nei mesi precedenti, alla lunga serie di misure di sostegno al settore creditizio attraverso il riacquisto di asset tossici.
Gli effetti sul dollaro si sono concretizzati in un ulteriore rafforzamento del biglietto verde, in particolare verso l’euro, rafforzando la nostra convinzione che questo andamento del rapporto di cambio non sia poi così disdicevole per l’economia europea, soprattutto per i paesi “export oriented” quali Germania e Italia.
A proposito del nostro paese, l’ottima accoglienza riservata dagli investitori alla maxi-emissione obbligazionaria dell’Enel, considerata la fase attuale di turbolenza che ha investito le emissioni dell’area mediterranea, testimonia, paradossalmente, l’affidabilità in termini assoluti e relativi del nostro sistema finanziario rispetto a paesi, quali la Spagna, che sembravano averci “superato” nello scacchiere dell’Eurozona.
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