L’Oracolo – Alice nell’armadio di Narnia

Non so se i lettori dell’Oracolo, ammesso che ce ne siano, amino il cinema.
Non voglio trasformare questa rubrica in una piazza in cui dibattere di pellicole, ma suvvia! Con tutte queste ciarle sulla notte degli Oscar, le sfilate sul tappeto rosso e le statuette che Cameron non ha vinto, anche noi dobbiamo adeguarci alla massa di notizie, notiziette e notiziole che parlano di Clooney e della Canalis, ma soprattutto degli effetti speciali di Avatar di cui ci sentiamo tanto fieri noi italiani, solo perché i tecnici hanno dei cognomi da mangia-spaghetti.
In realtà dovremmo tutti piangere pensando che agli Oscar da qualche tempo a questa parte ci finiamo solo con i tecnici e mai con i registi, non riuscendo a sfornare altro che filmini pieni di ragazzetti fashion come Vaporidis o balbuzienti come Muccino, che riescono comunque ad essere meglio dei polpettoni poco storici e molto leghisti, zeppi di retorica maroniana e mura di cartone.
Lasciando però stare le polemiche sul cinema di qualità della penisola dei famosi, oggi voglio lanciare una critica ad una mega produzione americana che ha decisamente fatto un gigantesco flop, sprecando un’ottima occasione e il talento di un regista fantasioso.
Non so quanti di voi amino Tim Burton, osannato da giovani dark e da quelli con la passione per Batman, ma riconosciuto certamente come un artista che ha saputo innovare il cinema e creare dei prodotti innovativi. L’ultimo film, Alice in Wonderland, ispirato ai libri di Carrol, secondo la mia poco attendibile opinione ha fatto un buco nell’acqua.
Un misto tra “Le cronache di Narnia” e “La storia fantastica”, con un’Alice in armatura, un cappellaio che tira di scherma come Aragorn e l’eroina che cavalca paesaggi fantasy su mostruosità pelose che ricordano un po’ Giuliano Ferrara e un po’ l’orso polare di “La bussola d’oro”.
Insomma dalla combinazione Burton-Carrol ci si aspettava molto di più, e soprattutto molto diverso. I romanzi di Carrol per definizione sono dei racconti anarchici, surreali, dove le regole della logica sono capovolte e dove l’unico dettame è quello del delirio onirico. Burton di per sé andrebbe a nozze con l’irreale e l’illogico, le atmosfere da incubo e il gotico ottocentesco, ma questa creatura Disney è nata male. Dare al film una trama basata su di una profezia, un nemico da sconfiggere e un filo logico del tutto banale è più o meno come fare dei buchi nello scafo di una barca. Il tutto aderisce ad una logica fantasy fanciullesca che non rispetta né il carattere del romanzo né permette a Burton di sprigionare il suo talento e la sua creatività; ergo la barca Burton-Disney va a fondo.
Sebbene la partenza del lungometraggio sia fantastica, il resto delude minuto dopo minuto, senza sorprese e senza coinvolgere. Una favola convenzionale e scontata che lascia Burton trapelare solo nei minuscoli dettagli e in alcuni piccoli tocchi d’ironia, fino ad inabissarsi come il Titanic nel momento più basso della “Deliranza”, dove Depp mette senz’altro a segno l’episodio più basso di tutta la sua carriera.

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