Semafori verdi e dossi rallentatori per i mercati finanziari. La view di Fugnoli (Kairos)

Con la sua abituale chiarezza, Lucio Colletti, alla voce Marxismo dell’Enciclopedia del Novecento, descrive la teoria aristotelica della corrispondenza tra pensiero ed essere con tre concetti. 1. Esiste una realtà esterna e oggettiva. 2. Il pensiero può arrivare a penetrarla interamente, perché è infinito come la realtà. 3. La nostra conoscenza è tuttavia approssimata e perfettibile e non è mai capace di adeguarsi completamente alla realtà.

La conoscenza, dunque, è un rispecchiamento della realtà esterna anche se l’immagine dello specchio può essere sfocata e deformata.

L’idea che abbiamo generalmente del mercato azionario è che questo deve sforzarsi di rispecchiare la realtà cui cerca di dare un valore e corrispondere ad essa. Il fatto che questa sia eventualmente una realtà futura non cambia le cose, perché il futuro scontato dai prezzi è in effetti un futuro immaginato nel presente e non il futuro come effettivamente sarà.

Con la sua teoria della riflessività Soros introduce un elemento di complessità in più. Il mercato riflette la realtà, ma a sua volta la modifica in un’interazione continua.

Queste teorie sono interessanti e utili, ma, nel gioco tra realtà e mercati, non tengono abbastanza conto di un terzo fattore, la volontà politica. Per i policy maker la Borsa, in certe fasi, non è uno specchio ma uno strumento per regolare il ciclo economico, esattamente come i tassi d’interesse di policy (quelli, cioè, non determinati dal mercato). Per i politici la borsa diventa invece uno strumento per la creazione di consenso.

In questa fase i due aspetti della volontà politica (policy e politics) convergono perfettamente. Le banche centrali, trovandosi a fronteggiare una crisi molto seria con i tassi già prossimi allo zero e poca voglia di sperimentare tassi di policy profondamente negativi, stanno facendo ampio ricorso a un quantitative easing che sfuma sempre di più nella monetizzazione pura e semplice dei disavanzi di bilancio. Il Qe però non basta e il rigonfiamento degli asset finanziari viene visto come utile a ricreare ricchezza e, soprattutto, fiducia. La Borsa, fino a pochi anni fa ignorata dai modelli econometrici delle banche centrali, ne è ora parte integrante.

Quanto alla politica, da sempre i governi in carica che si ripresentano agli elettori cercano di farlo con le migliori condizioni di mercato possibili. Sappiamo però che Trump tiene in modo particolarissimo alla Borsa e ne considera il rialzo la prova tangibile del successo della sua politica economica.

La volontà politica naturalmente ha dei limiti

Riesce a gonfiare i mercati e a fare loro svolgere il compito assegnato nelle fasi di rilancio ma fatica a frenarne l’esuberanza una volta che il rilancio è avvenuto. Così facendo, contribuisce a creare le condizioni per la creazione di bolle che un giorno inevitabilmente scoppieranno.

Se questo è vero, bisogna però anche stare attenti a non preoccuparsi per il rialzo troppo presto. Ora siamo infatti nella fase di rilancio, quella in cui si cerca di presentare agli investitori una strada spianata con semafori vedi a perdita d’occhio. Negli ultimi giorni i mercati hanno però avuto fin troppo la sensazione inebriante di potere fare quello che vogliono e hanno iniziato ad accelerare, quando invece, per creare un clima di fiducia, sarebbe più utile un rialzo lento e costante.

A questo punto sarà necessario disporre lungo la strada quei dossi rallentatori che gli automobilisti amano odiare. La strada resta diritta, i semafori restano verdi, ma la velocità va ridotta.

Il dosso rallentatore più efficace è costituito dalle elezioni americane

Si pensi solo all’aumento dell’imposta sui capital gain che Biden vorrebbe introdurre l’anno prossimo e che potrebbe indurre a realizzi già a dicembre. Gli algoritmi e i day trader non spingono però lo sguardo fino a novembre e c’è quindi bisogno di soste e ritracciamenti fin da adesso. Questi rallentamenti o riesce a deciderli da solo il mercato o possono essere provocati da semplici dichiarazioni, come è riuscito a fare Philip Lane della Bce, che con poche parole ha bloccato la discesa del dollaro (e, di conseguenza, la salita dell’oro).

I dossi rallentatori sono certamente fastidiosi (e pericolosi per chi va loro incontro a velocità sostenuta, ovvero a leva) ma non devono fare perdere di vista al guidatore prudente e razionale lo scenario generale, che resta favorevole per il prossimo periodo. Biden e un senato democratico potranno cambiare molte cose, se gli elettori gliene daranno il mandato, ma quello che non cambierà è che la Fed manterrà i tassi a zero per molti anni, togliendo un elemento di attrattiva al dollaro e spingendo così tutto il resto del mondo a reflazionare per non rivalutare.

Ed ecco infatti, dopo la pausa d’agosto, nuovi pacchetti fiscali annunciati in Francia e Germania per il 2021. La Francia ha già oggi un debito-Pil del 120 per cento, ma non esita ad andare ancora più in alto l’anno prossimo, con l’evidente consenso della Germania.

Il dosso rallentatore su dollaro e oro e le nuove misure fiscali franco-tedesche (cui si aggiungerà a fine anno un nuovo ampliamento del Qe da parte della Bce) migliorano le condizioni per le Borse europee che, almeno in questa fase, potranno smettere di dovere dividere il loro recupero con il recupero dell’euro.

Settembre e ottobre saranno accidentati (come da tradizione) ma nuovi massimi di Borsa non sono affatto da escludere. Dati però i livelli raggiunti sarà bene non farsi ingolosire troppo e mantenersi neutrali in modo da potere comprare in caso di correzione. Lo stesso vale per l’oro, ora in fase di realizzo ma da comprare in caso di ulteriore debolezza.

A cura di Alberto Fugnoli, strategist di Kairos

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