Il Covid-19 imprimerà nuovo slancio al rally obbligazionario

A cura di Edward Al-Hussainy, Analista senior tassi d’interesse e valute di Columbia Threadneedle Investments

Per contrastare la diffusione del Covid-19, i governi hanno messo in lockdown interi paesi. Molte amministrazioni, soprattutto in Europa, hanno pagato una vasta parte dei salari dei lavoratori e offerto significativi aiuti finanziari ad aziende e lavoratori autonomi.

Le banche centrali di tutto il mondo hanno tagliato i tassi ufficiali a breve termine a zero o al di sotto dello zero, reintrodotto programmi di acquisto di obbligazioni per ridurre i tassi d’interesse lungo la curva della duration e fornito abbondante liquidità alle banche per favorire l’erogazione di credito ad aziende e famiglie.

Malgrado questa risposta di considerevole entità, è chiaro che la pandemia eserciterà un profondo impatto negativo sulla crescita economica globale. L’Fmi prevede che nel 2020 il Pil globale scenderà a -3%, il livello più basso dalla Grande depressione e decisamente peggiore del -0,1% registrato nel 2009 in seguito alla crisi finanziaria globale.

Adeguarsi alla “nuova normalità”

Gli investitori dovranno abituarsi a questa “nuova normalità”. Questo significa non solo crescita negativa ma anche livelli di debito pubblico decisamente più alti e aumento della disoccupazione. L’impatto per coloro che investono in attivi rischiosi è ovvio. Le quotazioni azionarie e i prezzi delle materie prime sono bruscamente crollati a febbraio, quando l’impatto economico del virus è emerso chiaramente, anche se da allora c’è stato un parziale recupero giacché i governi hanno cominciato ad allentare le misure di isolamento. La possibilità di un vaccino contro il Covid-19 continua a rappresentare una speranza concreta per chi opera sui mercati di rischio, come hanno dimostrato i rimbalzi dei listini azionari sulla scia delle notizie positive circa la sperimentazione di vaccini. E per quanto riguarda i mercati del credito e del debito? Qui la situazione si presenta alquanto diversa. In primo luogo, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo.

Negli ultimi 40 anni circa, nei paesi sviluppati i tassi d’interesse nominali e reali (al netto dell’inflazione) sono diminuiti. Negli Stati Uniti, il tasso sui federal fund, ovvero il tasso d’interesse overnight a cui le banche e le cooperative di credito prestano denaro ad altri istituti di deposito, è sceso da oltre il 20% nel 1981 a poco più di zero. Nello stesso periodo, i rendimenti dei Treasury Usa decennali sono scesi da picchi del 15% quasi agli attuali livelli dello 0,6% circa (cfr. Figura 1). Su scala globale, il quadro si presenta simile, soprattutto nel Regno Unito, in Europa e in Giappone.

Questo trend di lungo periodo è destinato probabilmente a proseguire. È opinione diffusa tra gli investitori che i tassi d’interesse siano fissati dalle banche centrali. Noi crediamo che non sia così. Le banche centrali inseguono a nostro avviso un tasso d’interesse “naturale” per l’economia. Questo tasso “naturale” è in calo da molti anni per una serie di motivi strutturali, tra cui l’invecchiamento demografico e lo stallo della crescita della produttività (entrambi fattori che frenano la crescita economica).

Di fatto, se non fosse stato per la crisi finanziaria globale, crediamo che i tassi sarebbero già negativi in un numero maggiore di economie, compresa quella statunitense. Il massiccio aumento del debito emesso su scala globale durante la crisi finanziaria globale ha impresso enorme slancio all’offerta di obbligazioni di riferimento, contribuendo a mantenere artificialmente alti i rendimenti obbligazionari.

Prevediamo tuttavia che nei prossimi 3-5 anni i tassi d’interesse riprenderanno a scendere, divenendo negativi negli Stati Uniti, a causa del rallentamento della crescita e dell’intensificarsi delle misure politiche non convenzionali adottate dalle banche centrali, tra cui nuovi acquisti obbligazionari.

Perdita di efficacia delle vecchie leve politiche

La realtà è che da qualche anno le banche centrali stanno scoprendo che le leve politiche tradizionali, come i tagli dei tassi, stanno perdendo efficacia, come si può vedere in regioni quali Europa e Giappone, dove i tassi d’interesse negativi non sono stati sufficienti per ridare slancio alla crescita. Le banche centrali non stanno diventando meno influenti, ma si trovano costrette a lottare molto più duramente per ottenere gli stessi risultati, attingendo a una gamma più ampia di misure straordinarie, soprattutto a causa dell’assottigliamento dei margini di manovra per ulteriori tagli dei tassi.

Sospinta da forze strutturali, la crescita sta rallentando da qualche tempo e l’attuale crisi ha accelerato questo trend di lungo periodo. Nei prossimi mesi le banche centrali potrebbero dover fare ancora di più. A nostro avviso, quindi, la domanda da porsi non è se i tassi d’interesse negativi scenderanno ancora o se si diffonderanno ulteriormente, ma quale sarà la reazione degli investitori quando ciò avverrà.

Si colgono già i primi segnali di come i mercati reagiranno. Al momento della redazione, i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi quinquennali e quelli dei Bund tedeschi a cinque e a dieci anni sono negativi. Eppure, ciò nonostante, questi titoli di Stato di riferimento conservano la loro grande capacità di assorbire gli shock: gli investitori continuano a essere attratti dalla sicurezza e dalla liquidità di questi investimenti.

Inoltre, mentre i tassi d’interesse sono scesi, i rendimenti di capitale degli investitori obbligazionari sono aumentati. Negli ultimi cinque anni, durante periodi di ribassi del mercato azionario, i tassi d’interesse sono diminuiti molto più rapidamente rispetto ai cinque anni precedenti, consentendo agli investitori nel reddito fisso di mettere a segno sostanziose plusvalenze. Riteniamo che questo trend proseguirà con il calo dei tassi d’interesse in territorio negativo. Le plusvalenze realizzate sulle obbligazioni nei prossimi cinque anni potrebbero addirittura essere superiori a quelle dello scorso quinquennio.

Tre barriere chiave per i tassi negativi

Che cosa potrebbe modificare questo scenario? Ravvisiamo tre possibili fattori di rischio che potrebbero rallentare l’attuazione di tassi d’interesse negativi. Il primo è la produttività. Negli ultimi 15 anni circa, la crescita della produttività nel mondo è rallentata, scendendo ai minimi degli ultimi 50 anni e rimuovendo uno dei fattori chiave della creazione di ricchezza globale. Le cause precise non sono chiare e sono state oggetto di ampie discussioni. Non vi sono dubbi tuttavia che il rallentamento della produttività abbia contribuito alla flessione dei tassi d’interesse globali.

Per quanto appaia improbabile, non si può escludere una ripresa della produttività nei prossimi 5-10 anni (che richiederebbe importanti investimenti pubblici e privati). In tal caso, si avrebbe una vigorosa crescita dei salari e contestuali aumenti dei tassi d’interesse. Ovviamente un tale sviluppo sarebbe positivo per attivi rischiosi come le azioni e negativo per gli investitori in obbligazioni. Crediamo tuttavia che ci siano poche probabilità in tal senso.

Il secondo fattore di rischio è la spesa pubblica. Con il diffondersi della pandemia di Covid, i governi di tutto il mondo hanno aperto i rubinetti della spesa, facendo aumentare i disavanzi di bilancio. Riteniamo che gran parte di questa spesa pubblica sarà temporanea, nel qual caso, con l’emergere da questa crisi, il nostro scenario di riferimento continua a prevedere una ripresa protratta nel tempo, con bassissimi livelli di crescita e inflazione e, di conseguenza, tassi d’interesse molto più bassi, e quindi negativi.

Non possiamo tuttavia escludere che alcuni elementi di politica fiscale divengano permanenti in Europa, Cina o Stati Uniti (soprattutto visto il profilarsi all’orizzonte delle elezioni statunitensi). L’aumento della spesa, se effettuato in modo intelligente e mirato, potrebbe rafforzare la crescita e invertire il trend dei tassi attualmente diretti in territorio negativo.

Il terzo fattore di rischio è l’inflazione. Nell’ultimo quarto di secolo, gli investitori hanno goduto dei vantaggi di un contesto di bassa inflazione, che ha fatto salire i rendimenti reali. Le cause sono di varia natura ma comprendono l’invecchiamento demografico, i cambiamenti tecnologici e la globalizzazione.

Un aumento dell’inflazione, magari dovuto all’incremento della spesa pubblica, avrebbe un impatto chiaramente negativo per gli investitori sia obbligazionari che azionari, a meno che non sia accompagnato dalla ripresa della crescita economica. Tuttavia, dal momento che emergeremo probabilmente dalla pandemia di Covid-19 con livelli di debito decisamente più elevati, maggiore disoccupazione e crescita più lenta, un’impennata dell’inflazione sembra rappresentare un rischio relativamente ridotto nel breve-medio periodo.

Sono questi i tre rischi principali per il nostro scenario di tassi negativi. Crediamo tuttavia che restino contenuti.

Una ripresa lenta

Ciò nonostante, data la gravità degli ostacoli, la ripresa economica seguirà nel migliore dei casi una traiettoria a “U”; ci vorranno come minimo molti trimestri prima che si assista a un recupero. Reputiamo quindi probabile che prima della fine dell’anno i rendimenti dei Treasury Usa decennali possano scendere per la prima volta in territorio negativo, uno sviluppo che consentirebbe agli investitori obbligazionari di mettere a segno ulteriori plusvalenze.

Molti investitori ritengono che, facendo ricorso a politiche non convenzionali, la Federal Reserve e molte altre banche centrali abbiano oltrepassato i limiti dei loro mandati, impedendo il normale funzionamento del mercato. Crediamo che questa convinzione sia errata, e che ignori il fatto che sulla crescita delle economie occidentali pesano fattori strutturali frenanti come il calo della produttività e l’invecchiamento demografico globale, resi ancora più gravi dall’attuale crisi.

È pertanto probabile che nei prossimi mesi i tassi d’interesse diverranno negativi negli Stati Uniti e in alcune economie occidentali e che scenderanno in territorio ancor più negativo in altri paesi. Gli investitori sono invitati a prendere nota: il grande rally del mercato obbligazionario è ben lungi dall’aver esaurito il suo corso.

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