Utili meglio delle stime, ma la questione valutazioni resta irrisolta

“Pur esibendo un calo sostanziale, gli utili del secondo trimestre si sono rivelati migliori del previsto: la contrazione è stata meno pronunciata rispetto alla grande crisi finanziaria del 2008-2009, mentre l’attuale recessione è molto più grave. Questa sorprendente resilienza è dovuta in larga parte ad aspetti settoriali”. Lo afferma Ibra Wane, Senior Equity Strategist di Amundi, che di seguito spiega nel dettaglio la propria visione.

In generale, i titoli finanziari si sono dimostrati più resilienti di quanto osservato durante la grande crisi. Inoltre, i settori della sanità e della tecnologia ne sono usciti praticamente illesi. Il rovescio della medaglia è che, senza questi ultimi due settori, la flessione degli utili sarebbe stata molto più pronunciata. Alla luce delle revisioni effettuate e dei risultati conseguiti nel primo semestre, escludendo un nuovo lockdown generale, la maggior parte dell’aggiustamento del consensus sembra ormai alle nostre spalle. Tuttavia, il dibattito sulle valutazioni, eccessive o meno, è ancora lontano dall’essere concluso. Per rispondere a questa domanda sarà cruciale la durata della crisi.

Gli stessi settori in prima linea sulle due sponde dell’Atlantico

Sulle due sponde dell’Atlantico, tre settori hanno accusato particolarmente il colpo: energia, consumi discrezionali e industria. Torneremo più dettagliatamente sui primi due, che riteniamo molto eloquenti. Nel caso del settore energetico, oltre a essere penalizzate dal crollo dei prezzi del greggio e dal calo della domanda dovuto all’epidemia, le Major hanno dovuto anche contabilizzare massicci accantonamenti per tenere conto di un prezzo del petrolio durevolmente più basso. Di conseguenza, prevedendo “il potenziale indebolimento della domanda di energia per un periodo prolungato … (o addirittura) … una transizione energetica che potrebbe accelerare nell’ambito dei piani di stimolo post-Covid-19”, BP ha svalutato attivi per 17,5 miliardi di dollari nel 2° trimestre, equivalenti al 20% del suo bilancio. Con mosse sostanzialmente simili (3,0 miliardi di dollari per ENI, 8,1 miliardi per Total e 16,8 miliardi per Shell), le Major europee hanno contabilizzato non meno di 45 miliardi di dollari di accantonamenti in un solo trimestre, pari (in media) al 73% del loro EBIT totale dello scorso anno! Anche se queste svalutazioni di attivi non generano alcun deflusso di liquidità, riducendo il patrimonio netto, aumentano automaticamente i coefficienti di debito. A sua volta, ciò getta un’ombra sulle prospettive dei dividendi, che erano una delle principali attrattive del settore. Negli Stati Uniti, mentre Exxon Mobil e Chevron sono entrambe in rosso nel 2° trimestre (-1,1 miliardi di dollari e -8,3 miliardi di dollari, rispettivamente), è soprattutto la situazione dei produttori di petrolio o gas di scisto a destare preoccupazione. Secondo uno studio pubblicato da Deloitte il 22 giugno1, se i prezzi bassi dovessero perdurare, il settore potrebbe dover accantonare l’equivalente del 50% del suo patrimonio netto… Il settore dei consumi discrezionali (anch’esso in rosso in Europa e tra quelli più in calo negli Stati Uniti) comprende diversi sottosettori con caratteristiche molto eterogenee, quali lusso, elettronica di consumo, automotive e servizi ai consumatori. Di solito in rapida crescita e relativamente immune alla ciclicità, questa volta il settore del lusso è stato duramente colpito dal crollo del turismo internazionale e dalla quasi totale scomparsa degli acquisti offshore. Di conseguenza, dopo il -15% nel 1° trimestre, i ricavi totali di LVMH, Hermès e Kering sono sprofondati del 39% nel T2 o -27% nell’intero 1° semestre. Analogamente, gli utili del 1° semestre sono crollati in media del -75%: anche se questi gruppi non pubblicano utili trimestrali, questo dato indicherebbe una perdita nel 2° trimestre, evento senza precedenti per il settore. Più abituato alle crisi, il settore automotive è stato duramente colpito, il che non sorprende, con un calo dei ricavi del -9% nel 1° trimestre e del -38% nel secondo (-26% nell’intero 1° semestre). In un settore con margini molto sensibili ai volumi, ciò ha portato al crollo dell’Ebit totale (-61%) e dell’utile netto (-88%) di BMW, Daimler, Fiat Chrysler e BMW rispetto al 1° trimestre (Michelin, Peugeot e Renault non pubblicano i bilanci trimestrali). Dato l’ulteriore deterioramento dell’attività nel 2° trimestre, la flessione degli utili dell’intero 1° semestre è stata ancora più marcata, con un -108% per l’EBIT e un -171% per l’utile netto. Infine, il primato va ai servizi ai consumatori, che comprendono in particolare gli alberghi e ristoranti e il trasporto aereo, due settori di gran lunga fra i più penalizzati dal lockdown e dai divieti di viaggio. Ad esempio, i ricavi totali del trasporto aereo sono scesi dell’87%(!) nel 2° trimestre 2020, con punte del 99,6% per EasyJet. Di conseguenza, tutte le società del settore, comprese quelle finora più redditizie, come Ryanair, sono sprofondate in rosso. Analogamente, nel settore alberghiero, le due società europee nella Top 10 globale hanno registrato nel secondo trimestre un netto calo del RevPar (ricavi per camera disponibile), con -75% per InterContinental e -88% per Accor. Negli Stati Uniti, gli utili dei consumi discrezionali risultano ugualmente in caduta libera (-78%), sebbene in misura minore rispetto all’Europa (-126%). Tuttavia, anche in questo caso, le differenze possono essere attribuite in larga parte alle ponderazioni settoriali. Infatti, i settori automotive (22%), lusso (46%) e alberghiero (11%) rappresentano insieme quasi l’80% dei consumi discrezionali in Europa ma solo il 26% negli Stati Uniti. La parte restante corrisponde al commercio al dettaglio (74%), in particolare alle vendite su Internet e al marketing diretto: una sottocategoria dominata da Amazon, che da sola rappresenta il 43% dei consumi discrezionali e il 4,8% dell’indice S&P 500! Grazie alla forte domanda registrata durante il lockdown, Amazon ha messo a segno un significativo aumento degli utili nel 2° trimestre, con ricavi (+40%) e utile netto (+100%) ben al di sopra del consensus. Va tuttavia sottolineato che, senza Amazon, gli utili dei consumi discrezionali sarebbero crollati del 98%, anziché del 78%, avvicinandosi così al 126% registrato in Europa.

Il consensus si è ora ampiamente adeguato…

Con quasi 5 miliardi di abitanti del pianeta contemporaneamente in lockdown a inizio maggio, le circostanze del 2° trimestre 2020 possono essere definite alquanto eccezionali e si prevede pertanto che tale periodo rappresenti il punto minimo delle prossime pubblicazioni. Tuttavia, il contesto nei prossimi diciotto mesi resta molto incerto. Tra fattori sanitari ignoti (sviluppi nell’allentamento del lockdown, seconda ondata o meno, scoperta e disponibilità di un vaccino, ecc.), fattori economici (evoluzione della fiducia delle famiglie e delle imprese, ecc.) e fattori geopolitici (elezioni americane, tassazione, protezionismo, ecc.), gli analisti economici ponderano simboli di ogni genere per definire la futura ripresa: ripresa a V, W, U, L, a radice quadrata o addirittura “a virgolette”. In queste circostanze, è chiaramente difficile esprimere un’opinione sulla crescita degli utili futuri. Tuttavia, escludendo un nuovo lockdown generalizzato, la maggior parte dell’aggiustamento del consensus sembra ormai alle nostre spalle. Pertanto, nel corso dei mesi, le revisioni degli EPS si sono ridotte e il net-up degli analisti è risalito. Il net-up corrisponde al saldo netto delle revisioni al rialzo degli EPS sulle revisioni totali. Questo indicatore, che oscilla tra il -100% (tutte le revisioni sono negative) e il +100% (tutte le revisioni sono positive), è più sensibile rispetto alle semplici revisioni degli EPS. Di conseguenza, è utilizzato in aggiunta a quest’ultimo, al fine di prevedere meglio i cambiamenti tendenziali. Osserviamo chiaramente che, dopo aver raggiunto un minimo del -81% a metà aprile, il net-up è ora tornato in territorio neutrale. Il consenso bottom-up dell’indice Stoxx 600 attualmente prevede un calo degli EPS pari al -35% nel 2020, seguito da un rimbalzo del +38% nel 2021. In altre parole, gli EPS per il 2021 dovrebbero essere inferiori del 10% rispetto a quelli registrati al punto di partenza pre-Covid, nel 2019. Nel nostro caso, restiamo leggermente più cauti rispetto al 2020 (-45%) a causa delle divergenze nel 4° trimestre, su cui torneremo. Tuttavia, concordiamo sul livello per il 2021, in cui prevediamo un calo degli EPS del 12,5% rispetto al 2019 (contro il -10% per il consensus). Nel caso innanzitutto degli utili per il 3° trimestre, dopo il calo del 2° trimestre, dovrebbero registrare un aumento sequenziale, continuando però a diminuire sensibilmente su base annua. A tale riguardo, condividiamo l’opinione del consensus (-38% secondo IBES, -40% secondo le nostre stime). A parte i settori molto difensivi come le utility, la sanità e le telecomunicazioni, o anche la tecnologia, che attualmente va gonfie vele, gli altri settori che insieme rappresentano oltre il 70% dei ricavi totali nel 2° trimestre 2020 si attesteranno su livelli molto lontani da quelli dello scorso anno. Tuttavia, per il 4° trimestre, divergiamo notevolmente dal consensus, che prevede un calo del 21% rispetto al nostro 50%. In realtà, la differenza è meno spettacolare di quanto sembri ed è più contabile che economica. In primo luogo, come la maggioranza degli osservatori, ipotizziamo che non ci sarà un secondo lockdown generale e che la pandemia sarà progressivamente controllata. Di conseguenza, come il consensus, sembra logico concludere che il calo degli utili nel 4° trimestre dovrebbe diminuire (-21% nel 4° trimestre, dopo -38% nel 3° e -52% nel 2°). Riteniamo tuttavia necessario includere importanti elementi straordinari in questo miglioramento relativo della performance operativa. Con una visibilità che probabilmente rimarrà molto limitata alla fine dell’anno, non ci sorprenderebbe se le società procedessero a ulteriori svalutazioni di attivi (avviamento, attività fiscali differite, marchi, riserve, ecc.) o accantonamenti per ristrutturazione. Infine, metà del calo del 50% degli utili da noi previsto per il 4° trimestre corrisponderà alle poste correnti, mentre l’altra metà sarà imputabile a voci straordinarie.

… ma il dibattito sulle valutazioni non è ancora concluso…

A prescindere da quale sarà il trend reale degli EPS nel 2020 e 2021, data la portata dei declassamenti degli utili negli ultimi sei mesi e il rimbalzo dei mercati da metà marzo, i multipli di valutazione sono notevolmente aumentati. Di conseguenza, che si tratti del forward PE a 12M o del CVI, questi indicatori si attestano al livello più alto (o quasi) degli ultimi dodici o anche venti anni negli Stati Uniti. Tuttavia, il premio di rischio azionario invia un segnale completamente diverso, a causa di tassi d’interesse a lungo termine in picchiata, che lo rende interessante. Che cosa dobbiamo quindi dedurne? La risposta non è chiara e la durata della crisi sarà fondamentale per decidere tra queste due opinioni. Se la crisi sarà intensa, ma relativamente breve, gli investitori, rassicurati dalle misure di sostegno monetario e fiscale, dovrebbero essere in grado di aspettare. In altre parole, date le poche alternative (TINA), continueranno a ignorare gli scarsi utili e a basarsi sulle conclusioni del premio di rischio. Tuttavia, se nel prossimo anno la normalizzazione dell’economia dovesse essere deludente o, ancor peggio, messa in discussione in modo duraturo, il mercato non avrebbe altre alternative che consolidarsi. Pertanto, i prossimi mesi saranno cruciali. In particolare, il 4° trimestre dovrà essere attentamente monitorato. Comunque, per il momento, il messaggio degli utili per il 2° trimestre è piuttosto quello di un bicchiere mezzo pieno.

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