Inflazione, se, come e quando ritornerà? La view di Fugnoli (Kairos)

L’umanità, includendo i primi ominidi, ha passato più tempo al freddo che al caldo. L’era glaciale del Quaternario è iniziata due milioni e mezzo di anni fa ed è tuttora in corso, anche se adesso siamo in una fase di intervallo tra una glaciazione e l’altra. Il controllo umano del fuoco risale invece solo a centomila anni fa.

Se vogliamo utilizzare le celebre immagine di Albert Edwards (la deflazione come era glaciale, l’inflazione come età del fuoco) la storia umana si è dispiegata in gran parte nell’era glaciale della deflazione e solo in piccola parte (e soprattutto in epoche recenti) nell’età del fuoco dell’inflazione.

Il prezzo delle materie prime, come ha fatto notare Marc Faber, ha avuto nel corso dei secoli un andamento strutturalmente declinante e si è impennato solo in tempo di guerra (per il doppio shock dell’aumento della domanda per le spese militari e della diminuzione dell’offerta di derrate agricole da parte delle campagne devastate dal conflitto). Potremmo quindi dire che la deflazione è un fenomeno naturale, mentre l’inflazione (così come il controllo del fuoco da mille secoli) è un atto di volontà del sovrano, che muove guerra o decide comunque a tavolino, per considerazioni politiche, di stimolare la domanda al di là delle capacità dell’offerta di starle dietro.

A metà strada tra il naturale e l’umano (tra il biologico e il libero arbitrio) c’è poi la demografia, che in certe fasi ha anch’essa influenza sull’inflazione.

L’ultima vampata inflazionistica risale agli anni Sessanta-Settanta ed è stata dovuta a un aumento continuo della domanda (spese di guerra fredda e calda) a fronte di una stabilizzazione dell’offerta (piena occupazione e conseguente elevata forza contrattuale del lavoro rispetto al capitale). Chi si è formato in quel periodo conserva una paura atavica dell’inflazione, la considera lo stato naturale del mondo e ne prevede costantemente il ritorno.

Chi si è invece formato dagli anni Ottanta in avanti ha visto invece i prezzi solo scendere, considera l’assenza di inflazione come condizione naturale, si sente a suo agio e si muove molto bene in un mondo di prezzi immobili. Le sue convinzioni hanno tratto ulteriore forza dal decennio scorso, quando le banche centrali hanno adottato il Quantitative easing su larga scala pur in presenza di un’occupazione che in America, Giappone e Germania era tornata nel frattempo piena, senza nessuna conseguenza per l’inflazione. Chi è stato tranquillamente convinto della naturalità e irreversibilità dell’assenza di inflazione ha potuto massimizzare i suoi ritorni stando investito in duration lunghe o lunghissime, che tradotte dall’obbligazionario all’azionario significano titoli di crescita come quelli della tecnologia. Proprio per la sua esperienza di successo, chi si è formato nel quarantennio passato rischia però di sottovalutare i rischi di un cambiamento di tendenza.

Dopo il Covid e dopo la risposta fiscale e monetaria aggressiva da parte di Europa e America (molto meno in Asia) osservatori di peso come Russell Napier hanno cambiato radicalmente la loro visione deflazionista e si sono messi a prevedere la madre di tutte le inflazioni in tempi ravvicinati. La loro analisi è stata finora smentita dai fatti. L’aumento di offerta di moneta, pur notevole e pari addirittura a un quarto nel caso degli Stati Uniti, è stato infatti compensato da un forte rallentamento della velocità di circolazione della stessa. L’inflazione, in pratica, è addirittura scesa.

Questo tuttavia non va letto come l’ennesima conferma che, per quanto aggressivamente si usi il defibrillatore dell’espansione monetaria, l’inflazione sia morta per sempre.

Un percorso a tre tappe per il ritorno dell’inflazione

Fase zero. Schiacciata da una pandemia che si prolunga e si aggrava nel corso dell’inverno 2020-21, l’inflazione rimane esanime sul letto operatorio, insensibile ai nuovi stimoli fiscali e monetari decisi dalla Bce in dicembre e dal Congresso in un momento ancora da definire, ma compreso comunque tra adesso e marzo.

Fase uno. L’estate 2021 vede finalmente l’arrivo dei vaccini in concomitanza con la stagione calda, meno propizia al virus. Arrivano anche, tra l’estate e l’autunno gli stimoli fiscali europei, mentre i mercati azionari, dopo il lungo inverno laterale, riprendono a salire. Si torna a spendere nei negozi, c’è un clima di ripresa allargato questa volta a tutte le attività. L’inflazione ritorna al livello pre- Covid e rimane quindi bassa in assoluto, ma di mezzo punto superiore rispetto ai minimi registrati durante la pandemia. Nessuno se ne accorge, anche perché la Fed ha adottato nel frattempo un controllo di curva ufficioso sui titoli fino ai cinque anni.

Fase due. Dopo il pacchetto fiscale straordinario dell’inizio 2021, il Congresso democratico consegna a Biden (in caso di rielezione di Trump le cose sarebbero solo un po’ più complicate, ma la sostanza espansiva non cambierebbe) il piano di riforma strutturale che aumenta le tasse ma aumenta ancora di più le spese. In questo piano si è infilato un po’ di tutto, con ampi capitoli di spesa per ambiente, sanità e trasferimenti agli stati. Siamo all’inizio del 2022 e i due anni successivi saranno impiegati dal Congresso per varare aumenti consistenti delle retribuzioni minime, una massiccia reregulation su tutte le attività produttive e il ritorno dei sindacati nelle fabbriche, tutti fattori di inflazione. La tensione con la Cina nel frattempo continua a crescere. La difesa di Taiwan, che in quanto centro mondiale dei semiconduttori è il fazzoletto di terra più ambito del pianeta, costringe gli Stati Uniti ad alzare ulteriormente le spese militari. L’indebolimento del dollaro e il restringersi degli spazi commerciali in Cina inducono anche l’Europa a varare altre misure fiscali espansive a livello nazionale.

In questo clima, tra il 2023 e il 2024 l’inflazione inizia a superare senza problemi il due per cento. Pochi ci badano, anche perché la Fed ha già promesso che terrà i tassi a zero fino al 2025 e ribadisce che l’inflazione sopra il due per cento è salutare e gradita. Le borse sono gonfie di rialzo e i bond sono ancora tranquilli, tranne le scadenze più lunghe che mostrano qualche segno di erosione. Per guadagnare sull’obbligazionario si punta sui crediti e sugli emergenti.

Fase tre. Tra il 2030 e il 2040 la demografia globale comincia a cambiare bruscamente. A parte l’Africa, che comunque rallenta la sua crescita, la popolazione del resto del mondo ristagna o scende, in particolare in Cina. Per quanto si cerchi di stimolare l’automazione e l’intelligenza artificiale, la forza lavoro umana, così abbondante nell’arco di vita dei Baby Boomers, comincia a scarseggiare, provocando tensioni sulle retribuzioni. Nel frattempo i governi si sono abituati a far monetizzare i loro disavanzi dalle loro banche centrali e a fare stampare moneta per qualsiasi esigenza. Un approfondimento di questo scenario è contenuto in un importante libro recente (The Great Demographic Reversal. Ageing Societies, Waning Inequality, Inflation Revival). Uno dei due autori è Charles Goodhart, influente accademico già membro del board della Bank of England. Mantenere l’inflazione sotto controllo e i tassi bassi in questo contesto, scrivono gli autori, sarà molto difficile.

Ripetiamo, si tratta solo di un esercizio su uno dei numerosi possibili scenari. Ma ogni cosa a suo tempo. Per adesso siamo nella fase zero e non è il caso di cambiare i portafogli troppo in anticipo. Ancora per due-tre trimestri, quindi, inflazione quasi inesistente, tassi inchiodati lungo tutta la curva e tecnologia come leader in Borsa.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!