“Quando si parla di cambiamento climatico, e dei modi con cui consumatori e investitori possono contrastarlo, si pone sempre molta attenzione al contributo alle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo, e sulla necessità di passare alle energie rinnovabili. Tuttavia, molta meno attenzione viene dedicata a un’industria che contribuisce a circa il 26% di tutti i gas serra prodotti dall’uomo, e che rappresenta la causa principale della deforestazione tropicale globale e della perdita di biodiversità: quella alimentare“. Parola di Stuart Forbes, co-fondatore di Rize ETF, che di seguito dettaglia e spiega la propria view.
I dati sono impressionanti: metà della terra abitabile del mondo (cioè terra priva di ghiaccio e di deserti) viene utilizzata per l’agricoltura. E il 77% di quella terra agricola è utilizzata per il pascolo del bestiame o per la coltivazione di mangimi per il bestiame, che rappresentano ormai la principale causa di deforestazione del bioma amazzonico.
L’approvvigionamento di carne bovina e ovina emettono più chilogrammi di anidride carbonica equivalente per chilogrammo di prodotto rispetto a qualsiasi altro tipo di alimento. Ancora più preoccupante è il fatto che la maggior parte di questo contributo proviene dalle prime due fasi della catena di approvvigionamento alimentare, il cambiamento di destinazione d’uso della terra e le attività agricole.
Il “cambiamento di destinazione d’uso del suolo” si riferisce alla conversione delle foreste in terreni agricoli. La deforestazione non solo porta all’emissione di enormi quantità di anidride carbonica attraverso la combustione e la decomposizione della biomassa forestale, ma altera anche il contenuto di carbonio nel suolo in modo estremamente significativo.
La seconda fase è quella delle attività agricole, dove anche i fertilizzanti, il letame, i macchinari agricoli e il bestiame rilasciano quantità notevoli di gas serra nell’atmosfera. Nell’arco di 12 mesi, una singola mucca può produrre fino a 300 kg di metano – un gas che, su una scala temporale di 100 anni, intrappola circa 28 volte più calore dell’anidride carbonica!
I consumatori di tutto il mondo stanno davvero cominciando a preoccuparsi di questa realtà. La crescente consapevolezza ambientale e sanitaria ha il potenziale di spingerci a combattere la deforestazione in luoghi come la foresta amazzonica e il Borneo, e a ridurre i gas serra prodotti dall’uomo e attribuibili al sistema alimentare. Ha, inoltre, il potenziale per sbloccare una serie di nuove opportunità di investimento.
Carni vegetali e carni coltivate
La pandemia, con le sue conseguenze, è servita ad accelerare questo riesame “cosciente” delle nostre abitudini d’acquisto. Circa l’81% dei consumatori francesi intervistati da OpinionWay nel maggio 2020 ha dichiarato di voler acquistare alimenti più rispettosi dell’ambiente dopo il lockdown. Quando gli è stato chiesto perché stavano riducendo il consumo di carne, quasi la metà degli intervistati di un sondaggio Gallup del 2019 ha citato le preoccupazioni ambientali come una motivazione importante.
Tutto ciò si apre la strada a un forte aumento della vendita di carne alternativa.
I consulenti di AT Kearney prevedono che la quota di carne convenzionale sul mercato globale della carne diminuirà dal 90% nel 2025 ad appena il 40% entro il 2040. Nello stesso periodo, la quota detenuta dai nuovi sostituti della carne (cioè le alternative a base di piante come il Beyond Burger e Impossible Burger) dovrebbe passare dal 10% al 25%, mentre la carne coltivata in laboratorio è destinata a raggiungere una quota del 35%.
I venture capitalist hanno a lungo anticipato questa tendenza, con i finanziamenti per le start-up Foodtech e Agtech che hanno raggiunto i 19,8 miliardi di dollari nel 2019, più del doppio della somma raccolta nel 2016, pari a 8,6 miliardi di dollari. Nel frattempo, l’IPO di Beyond Meat ha fatto molto scalpore: nonostante la pandemia, le azioni del produttore di carne vegetale sono passate da meno di 75,60 dollari al 31 dicembre 2019 a 142 dollari al 27 novembre 2020. Il valore del mercato della carne di origine vegetale è ora sulla buona strada per passare da 10,1 miliardi di dollari nel 2018 a 30,92 miliardi di dollari nel 2026.
Come sfruttare questo scenario in Borsa
Per sfruttare al meglio questa opportunità, abbiamo fatto degli alimenti vegetali uno dei nove sottosettori tracciati nel nostro tema d’investimento “Sustainable Future of Food“. Insieme a Tematica Research, abbiamo identificato le aziende globali quotate in Borsa che traggono tutte o gran parte delle loro entrate dal cibo vegetale. In aggiunta, dato che il consumo di carne convenzionale, in particolare di manzo, è incompatibile con un futuro sostenibile del cibo, escludiamo dal tema le aziende che producono alimenti derivati da carni allevate in terra.
In definitiva, il cambiamento inizia dal consumatore. E con i consumatori di tutto il mondo che diventano sempre più informati sugli impatti sull’ambiente e sulla salute di ciò che mangiano, la transizione verso un sistema alimentare più sostenibile sta finalmente diventando possibile. Le aziende che guidano l’innovazione tecnologica lungo tutta la catena produttiva alimentare, e le aziende che progettano nuovi prodotti alimentari – che il consumatore attento al clima richiede – saranno nella posizione migliore per beneficiare di questa transizione.
A Piazza Affari sul settore del cibo “sostenibile” è quotato l’Etf Rize Sustainable Food Ucits.