Siamo prossimi alla fine del “there is no alternative” per l’azionario?

L’entusiasmo per la nuova bordata finanziaria americana viaggia però di pari passo ad una crescente attenzione per eventuali spinte inflazionistiche con le attese sui rialzi dei prezzi che si attestano ai massimi dal 2013. Una recrudescenza inflazionistica, sebbene sia ancora una preoccupazione lontana, potrebbe alla fine avere avversi effetti sull’attuale rialzo dei listini, e non solo in forza di potenziali manovre restrittive da parte delle Banche Centrali, ma anche perché mette in predicato il concetto ormai consolidato che l’investimento azionario rimane l’unica alternativa possibile per ottenere un rendimento positivo in un mondo dove gli altri rendimenti (specie quelli obbligazionari) viaggiano prossimi allo zero se non negativi.

Di certo questi seppur solo blandi cenni di potenziali pressioni sui prezzi al consumo sono responsabili, almeno in parte, del rinnovato appeal che hanno le materie prime ed altri assets di diversificazione in questo avvio di febbraio; grande scalpore ha destato infatti la decisione di Tesla (forse anche per distrarre il mercato dalle problematiche di sicurezza dei propri veicoli riscontrate in Cina) di investire 1,5 mld di usd in Bitcoin, annunciando al tempo stesso che l’azienda accetterà pagamenti in cripotovaluta per l’acquisto dei suoi veicoli. La divisa digitale balza a nuovi record ieri portandosi in area 45.000 dollari.

Progressi importanti anche per il petrolio, con il Brent che supera quota 61 dollari per barile all’apertura londinese odierna segnando la serie più positiva da un anno a questa parte ed un progresso pari al 9% nelle ultime sette sessioni, coadiuvato anche da indiscrezioni che vedono le scorte di greggio USA in calo per la terza settimana consecutiva (sebbene per soli 250.000 barili).

Nell’ambito dei metalli non ferrosi gli investitori sembrano aver abbandonato la consueta cautela alla vigilia del capodanno lunare cinese, con il Rame che muove ieri in deciso rialzo per approdare questa mattina in area 8.100 dollari; tutto sommato, benchè proprio questo periodo sia stagionalmente il più avverso per i prezzi del metallo rosso, il costante calo nelle giacenze e l’apparentemente insaziabile appetito cinese (i premi all’importazione di rame in Cina sono ai massimi dall’agosto 2020) sembrano aver contribuito a rompere gli indugi in cui versava il contratto da qualche giorno a questa parte. Oltretutto i premi di raffinazione in Cina si attestano sui minimi dal 2012 a segnalare scarsità di materia prima legata anche al calo produttivo in Perù (-12,5% nel 2020), alle pesanti piogge in Cile ed al sensibile calo delle esportazioni dall’Australia (scese praticamente a zero a dicembre) a causa delle tensioni dioplomatiche tra i due paesi.

Tuttavia se gli open interest sul metallo rosso si portano sopra quota 400.000 contratti per la prima volta dal settembre 2020 le posizioni speculative registrate dalla CFTC stano inziando a mostrare un sensibile calo nell’appetito rialzista dei fondi di investimento e grandi investitori, segnale forse che la situazione sia ormai matura per una correzione più significativa delle quotazioni nei giorni a venire.

A cura di Michael Palatiello, ad e strategist di Wings Parntners Sim

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