Banche, tutto da rifare: con il Covid bruciati 10 miliardi di ricavi

Se qualcuno, allegramente distrattosi nell’ultimo anno fra smart working e videochat, avesse ancora dubbi sul fatto che i veri effetti della pandemia – o meglio, delle misure messe in atto per cercare di contenerla – si inizino a vedere a partire dal 2021, li fugherà facilmente andando a guardare i conti delle banche italiane. Che nel 2020 hanno visto andare in fumo il “tesoro” da 10 miliardi all’anno di profitti accumulato fra il 2018 e il 2019, dopo un decennio di ristrutturazioni, adeguamenti normativi e riduzione di sofferenze seguiti alla crisi del 2008.

Fra i casi eclatanti, quello di Unicredit, con l’ad Mustier che lascia oggi l’istituto, giusto dopo avere presentato una perdita nel quarto trimestre di 1,18 miliardi, superiore alle attese, dovuta soprattutto alla svalutazione dell’avviamento della divisione Corporate & Investment Banking. Un rosso che porta il totale delle perdite del 2020 a 2,8 miliardi, anche queste superiori alle attese. Ad addolcire la pillola, l’annuncio della distribuzione agli azionisti 1,1 miliardi nel 2021, tra riacquisti di azioni proprie e dividendi in contanti. Certo è che il nuovo Cei Andrea Orcel, da aprile (per il momento la gestione ordinaria è stata affidata al co-Chief Operating Officer Ranieri de Marchis, nominato direttore generale) avrà da lavorare non solo sul fronte M&A, che vedrà certamente l’istituto di Piazza Gae Aulenti fra i protagonisti di quest’anno, ma anche sulla redditività in gran parte dei paesi in cui il gruppo è presente. A partire proprio dall’Italia.

Va meglio in casa Intesa Sanpaolo, fra le poche banche italiane a riportare una cifra (3,27 miliardi di euro) alla voce “utili 2020“. L’istituto guidato da Carlo Messina si concentra ora sulla ristrutturazione della rete a seguito dell’acquisizione di Ubi e ha da poco raggiunto con le organizzazioni sindacali l’accordo per il passaggio di 148 dipendenti alla Banca Popolare di Puglia e Basilicata, nell’ambito della cessione di 26 sportelli nel sud Italia prevista dall’Antitrust. Mentre l’ad della controllata Fideuram, Tommasio Corcos, in un’intervista al Sole 24 Ore dice di considerare alla portata 300 miliardi di patrimonio gestito per la Divisione Private e non esclude di poter cogliere nuove opportunità di crescita all’estero.

In compenso, a contribuire in maniera indifferente al rosso complessivo del sistema bancario italiano è la “solita” Mps, che ha chiuso il 2020 con 1,69 miliardi di perdite e con coefficienti patrimoniali sostenuti da azioni di capital management dopo l’operazione di cessione dei crediti deteriorati, in vista di una possibile fusione.

Proprio questi ultimi due concetti, fusioni e cessione di Npl, saranno i fari che guideranno la marcia delle banche italiane nel 2021. Perché, dopo il Covid, la storia presentata un anno fa da manager e politici come l’avvenuta “messa in sicurezza del sistema bancario” va ora riscritta, anche se – forse – non da capo. A questo proposito, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha affermato in audizione parlamentare che i lunghi tempi della giustizia civile in Italia sono la principale causa delle difficoltà delle banche a ridurre i crediti deteriorati, aggiungendo che Via Nazionale stima un incremento dei crediti problematici a fine 2022 inferiore ai 100 miliardi di euro per gli istituti italiani e, in ogni caso, su livelli “molto lontani da quelli raggiunti a fine 2014-15”.

sf

L’indice Ftse Italia Banche

 

 

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