Tassi nominali e reali, la lezione del Giappone per il post-Covid

“Cresce l’ansia sui mercati obbligazionari globali. Nell’ultima settimana i livelli dei tassi governativi a 10 anni nei mercati sviluppati sono caduti vittima di un sempre più diffuso mormorio sulla reflazione che, secondo gli analisti di mercato, potrebbe spingere i tassi a lungo termine oltre il limite verso un prolungato mercato ribassista. La domanda principale che bisogna porsi rimane sempre la stessa: in che direzione evolveranno i tassi nominali e reali a lungo termine? Per rispondere dobbiamo considerare tre aspetti”. Lo afferma Peter De Coensel, Cio Fixed Income di Dpam. Di seguito la sua analisi.

In primo luogo dobbiamo chiederci fino a dove si spingerà la politica dei tassi delle banche centrali; poi bisogna domandarsi come le banche centrali impiegheranno i loro rispettivi strumenti; in ultima istanza, è necessario capire quali siano gli obiettivi sociali generali che i politici vogliono perseguire per ristabilire un certo equilibrio nell’ordine locale e internazionale.

Se prendiamo i tassi Ois (overnight indexed swap) dell’Eurozona e degli Stati Uniti e calcoliamo le aspettative di tale tasso di riferimento nei prossimi 5 anni, osserviamo che, nell’Eurozona, si arriva a -0,41% contro +0,41% negli Stati Uniti. Quindi, i mercati si aspettano che, in qualche momento nei prossimi 5 anni, vedremo un aumento dei tassi nella zona euro così come negli Stati Uniti. Guardando oltre i 10 anni, o l’inizio del prossimo decennio, la soglia dei tassi d’interesse della Bce potrebbe aggirarsi attorno allo +0,25%. Quello della Fed sarebbe invece attorno il +1,50%. Tali livelli sono facilmente condivisibili sulla base dell’inedito aumento dell’indebitamento registrato nell’ultimo anno. In media, solo nel 2020, il peso del debito pubblico nel Pil è aumentato di 20 punti percentuali all’interno dei Paesi Ocse. In effetti, il Congressional Budget Office (Cbo) statunitense prevede che i livelli di debito federale potrebbero salire a una media del 109% in questo decennio, al 142% nel prossimo, e al 195% di debito in rapporto al Pil tra il 2041 e il 2050. Si potrebbe affermare che, nei prossimi 30 anni, l’indebitamento federale statunitense si sarà trasformato nella realtà giapponese di oggi. Per l’Eurozona abbiamo invece un orizzonte temporale più breve. Man mano che i livelli di debito crescono, ci si aspetta che anche la produttività di ogni euro o dollaro in più di debito diminuisca. Qualsiasi argomentazione contraria a questa prospettiva dovrà essere guidata da un aumento della produttività totale dei fattori o dai progressi della tecnologia traducibili in una maggiore produttività umana.

Tale percorso di indebitamento ci porta a riflettere sul destino dei tassi nominali e reali a lungo termine. L’attuale intensità dei programmi di acquisto delle banche centrali (il famoso Quantitative Easing) attenua qualsiasi aumento aggressivo dei tassi a lungo termine. Tuttavia, negli Stati Uniti, il tasso a 30 anni è vicino a superare la soglia del 2%. Ci si può aspettare che la Fed mantenga il suo programma di acquisto al fine di contenere qualsiasi ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie e che si spenda a favore dell’introduzione di un altro programma di estensione delle scadenze, limitando la pressione sui tassi di interesse a lungo termine. L’ultima opzione di manovra potrebbe essere un controllo esplicito della curva dei rendimenti, come avvenne tra il 1942 e il 1951. I tassi a breve termine furono bloccati allo 0,375%, mentre i tassi dei titoli di stato tra i 10 e i 30 anni furono limitati al 2,5%. Dati gli squilibri economici strutturali di oggi, il tandem Powell-Yellen interverrà nel momento in cui i tassi dei Treasury a 10 anni saliranno verso l’1,5% o quelli a 30 anni verso il 2,5%. Anche se lo scenario è completamente diverso da quello di 75 anni fa, la tentazione potrebbe essere simile. I problemi di credibilità della politica monetaria e il percorso di uscita o il rischio di uscita sono al centro delle considerazioni esplicite sulla curva dei rendimenti. Il bilancio della Fed rappresenta il 32% del Pil americano. Nell’Eurozona e in Giappone, quello delle banche centrali raggiunge rispettivamente il 60% e addirittura il 132% del Pil. Possiamo dedurne due cose: la Fed e la Bce hanno ancora parecchio margine per far crescere il loro bilancio, così come i tassi trentennali statunitensi avranno ancora occasione di raggiungere livelli di acquisto interessanti.

Oggi si può investire in obbligazioni societarie americane ad altissimo merito creditizio come quelle di Microsoft o Apple, con rendimenti tra rispettivamente il 2,60% e il 2,80%. Per i titoli di Stato dell’Eurozona le prospettive dei tassi a lungo termine sono più complesse, data la disparità tra i mercati dei titoli di Stato nazionali. Per quanto riguarda i tassi reali a lungo termine, ci aspettiamo che questi si comportino in modo abbastanza stabile rispetto a quelli nominali finché i tassi d’interesse rimarranno intorno allo zero o in territorio negativo. Inoltre, ci aspettiamo che i programmi di acquisto di Quantitative Easing influiscano in modo notevole sul livello dei tassi reali dei Tips statunitensi o sui titoli di Stato legati all’inflazione dell’Ue. Dall’aprile 2020, hanno avuto un impatto straordinario. E se la Bce abbassasse i tassi d’interesse, come reagirebbero i tassi nominali e reali a lungo termine? I tassi reali sprofonderebbero ancora di più in territorio negativo, mentre quelli nominali a lungo termine sarebbero stabili o leggermente più alti. Uno scenario che alla Bce andrebbe bene.

Il terzo fattore che richiede che i tassi lunghi rimangano più bassi più a lungo è costituito dalle sfide poste dal cambiamento climatico, dai modelli di consumo energetico, dai livelli di istruzione, dalla qualità delle infrastrutture e dalla distribuzione del reddito. Ancora una volta il Giappone può farci da guida: la sua economia e società in generale stanno ottenendo buoni risultati su ognuno di questi aspetti. Il costo opportunità sostenuto diventa visibile attraverso un mercato dei titoli di Stato “morto”. La volatilità dei tassi nominali e reali è crollata. Anche le aspettative di inflazione sono sparite. I tassi reali e nominali a 10 anni continuano a ruotare intorno allo 0,00%. Qual è la probabilità di un tale risultato per il mercato dei titoli di Stato della zona euro? Probabilmente più alta di quella del mercato dei Treasury.

Come gli investitori azionari considerano sempre le problematiche del momento e le valutazioni elevate, riponendo le loro speranze nella superiorità di rendimento a lungo termine della classe di attivi, così gli investitori obbligazionari dovrebbero considerare anche l’attuale ossessione per l’inflazione. Se non altro, i rendimenti obbligazionari un po’ più alti solleveranno le aspettative di rendimento futuro.

Il complesso mix di condizioni reflazionistiche a breve termine, che si manifesterà man mano che usciremo da questa pandemia, incontrerà un insieme ancora più complesso di condizioni legate al contenimento degli squilibri. Il costo e la qualità dell’istruzione, la mancanza di un’adeguata distribuzione del reddito, il costo del cambiamento climatico insieme alla necessaria trasformazione delle infrastrutture e del comportamento umano sono fattori che richiedono attenzione e finanziamenti.

Per avere una minima possibilità di successo nella realizzazione parziale dei suddetti obiettivi, il costo dei finanziamenti non può essere fuori controllo. Al contrario, si renderà necessario un intervento costante e attivo da parte dei governi e delle banche centrali. L’intervento della banca centrale potrebbe raffreddarsi da solo nel momento in cui la dura realtà e il peso del debito aggregato si riveleranno attraverso tassi di crescita potenziale più bassi. Non possiamo escludere il Giappone come modello per ciò che verrà.

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