I colossi minerari sotto scacco

La debacle dei conti greci e il salvataggio in extremis orchestrato dall’Europa, il downgrade di Spagna e Portogallo e le nuove difficoltà del colosso Goldman Sachs gettano ulteriore benzina sul fuoco e danno spazio alla corsa delle commodities.
L’oro lo scorso venerdì veniva scambiato al Nymex 1.180 dollari l’oncia mentre il 2° fixing di Londra si è attestato a 1.179,25 dollari. Ancora una volta lil metallo prezioso diventa bene rifugio per eccellenza, oggi a maggior ragione, visto che anche il debito sovrano non da più quelle garanzie che potevano far dormire sonni tranquilli agli investitori. Così, senza tanta fantasia, le azioni scendono, i bond scendono, le valute scendono, mentre l’oro si apprezza portandosi in prossimità del record di dicembre 2009. A questo punto parlare di “bolla” forse non ha più molto senso, almeno fino a quando le economie occidentali non sapranno trasmettere quella fiducia che il mercato cerca.
Prospettive meno rosee invece per il settore estrattivo-minerario, colpito la scorsa settimana dal progetto di riforma fiscale del governo australiano. Secondo le prime indiscrezioni (la bozza finale non è ancora stata resa pubblica) il Governo starebbe pensando ad un giro di vite sulle compagnie estrattive, aumentando le imposte sul settore. L’indiscrezione, comunque non smentita, ha messo sotto pressione i colossi minerari come Rio Tinto che opera per un terzo delle sue attività proprio in Australia. Male anche i giganti Bhp Billiton e Xstrata che hanno registrato perdite di Borsa fino al 4 percento.
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