La manovra non piace ai mercati

Le discussioni in merito alla manovra approvata dal governo assorbono tutta l’attenzione della stampa ma, al di là dei giudizi e delle opinioni di politici ed economisti, una valutazione perentoria è stata già espressa da un giudice irrevocabile: il mercato.
All’indomani dell’approvazione della manovra, infatti,  il prezzo dei credit default swaps sul debito sovrano dell’Italia sulle borse elettroniche è salito, del 70% nelle ultime due settimane, e risulta in crescita tuttora, anche dopo l’annuncio della manovra del governo italiano presentata dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal ministro dell’economia Giulio Tremonti.
Questo fattore equivale quindi ad una bocciatura da parte dei mercati finanziari in merito all’efficacia della manovra, poiché la percezione del rischio relativo al nostro paese avrebbe dovuto mostrarsi in calo, non in crescita.

Come puntualizzato da Wall Street Italia, questo è dovuto al fatto che il piano approvato dal governo risulta un confuso esercizio contabile che va a raschiare il barile dei conti nazionali per racimolare 24 miliardi di euro, al fine di mantenersi a galla con un canotto nella tempesta che sta sommergendo l’Europa.
Nessun taglio applicato nella manovra costituisce infatti una risposta seria per diminuire la spesa pubblica e arginare gli sprechi nel mondo della politica e dell’amministrazione, inoltre il piano non prevede alcun intervento volto a stimolare la crescita economica del Paese.

Il prezzo dei Cds sul debito sovrano dell’Italia ha raggiunto il massimo storico a quota 232 il 6 maggio scorso, quando il Dow Jones in 20 minuti crollò di circa 1000 punti. Da quel giorno c’è stata una picchiata verticale del derivato che ha fatto credere il pericolo scongiurato, ma è durato solo per una settimana. Il 12 maggio lo scenario si è ribaltato, e si è assistito ad una preoccupante impennata del credit default swap Italia, salita che avrebbe dovuto arrestarsi proprio in coincidenza  dell’annuncio della manovra da parte del governo, in teoria. In teoria se il mercato avesse potuto trovare, nel provvedimento di Tremonti, tutto quello che di fatto non c’e’, ovvero trasparenza, equità sociale, misure per incentivare crescita e lavoro.
La preoccupazione del premier di non perdere consensi non è piaciuta al mercato e il Cds ha proseguito la sua salita che l’ha portato a crescere del 70% in due settimane, toccando il livello attuale di 213, da un punto di partenza di 125.
Questo fattore significa che, attualmente, per assicurare 10 milioni di dollari di debito pubblico italiano contro un eventuale default del nostro paese, gli investitori istituzionali globali sono disposti a pagare ogni anno 213.000 dollari, essendo il Cds una sorta di paracadute ma anche uno strumento atto a speculare sul sentiment.
È vero che la Grecia possiede un Cds a quota 707, ma confrontando il livello italiano con i 71 punti della Francia e i 42 della Germania, a Tremonti non resta altro da fare che sopportare l’acronimo PIIGS.

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