Quando la finanza è donna

L’idea è pensare alla conciliazione non come mero processo di allocazione nel tempo, ma come sfida individuale e sociale per una nuova etica dello sviluppo. Seppure a lungo la storiografia scientifica abbia sottovalutato il ruolo della donna nelle società tradizionali europee, è innegabile oggi che , prima di vedersi riconosciuti i diritti politici e sociali in forma ufficiale, essa ha rappresentato da sempre una figura di riferimento, grazie anche all’impronta cristiana che è insita nella nostra cultura. La donna rappresenta l’idea di rigenerazione, di via, di protezione e di maternità, da sempre custode del focolare domestico e motore propulsivo della famiglia, nucleo basilare e fondamentale della società passata e odierna. Anche se oggi l’uguaglianza giuridica rispetto agli uomini è stata raggiunta, il percorso rimane ancora lungo e tortuoso dal momento che si pongono sfide che, oltrepassato il piano giuridico, toccano la cultura, la mentalità, la società nel suo insieme.

Un’emancipazione matura trova compimento nella sinergia tra donna madre e donna lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica e politica. La presenza sociale delle donne è divenuta indispensabile per contribuire a far esplodere le contraddizioni di una società organizzata quasi esclusivamente su criteri di produttività. La presenza delle donne nel mondo del lavoro è andata aumentando negli ultimi 20 anni, resistendo a periodi di crisi e recessione. Sono state soggetti attivi dei cambiamenti, portatrici di nuove esigenze rispetto all’organizzazione  e alle forme di lavoro, alla definizione dei tempi, alla qualità di relazioni in ambito professionale. I problemi annosi che riguardano la dinamica del mercato del lavoro, penalizzano il lavoro femminile, perché vi è ancora la forte presenza di discriminazioni salariali, e non vi sono condizioni di tutela che garantiscono la condizione lavorativa delle madri, e la conseguente conciliazione dei tempi lavorativi con quelli della famiglia. Questo comporta difficoltà evidenti di affermazione delle donne nell’avanzamento di carriera, e genera ripercussioni anche sul fronte previdenziale, pur in presenza di un innalzamento dell’età pensionabile nel settore del pubblico impiego.

Le scelte del passato ed il panorama di oggi, modificato fortemente dal passaggio e dal perdurare di venti di crisi, sono lo scenario ideale per intervenire sul miglioramento delle condizioni lavorative e sociali della donna. Questo processo porterebbe senza dubbio al miglioramento della situazione economica delle famiglie italiane e corrisponderebbe ad un obiettivo di eguaglianza di opportunità oggi deficitario. Premiare l’accesso agli interventi formativi contribuirebbe all’empowerment femminile ed alla marginalizzazione della segregazione orizzontale e verticale che caratterizza la partecipazione femminile alle dinamiche del mercato del lavoro. Da  alcune ricerche è venuto fuori secondo l’economista Naila Kabeer che “quando le donne vanno bene, anche l’economia va bene, mentre non è sempre vero il contrario”. C’è chi ha iniziato a parlare di “womenomics” o di fattore “D”, fatto sta che il problema è visibile a tutti come non mai e da tutte le parti del mondo si stanno alzando voci di protesta e di spinta al rinnovamento di una situazione immobile che paralizza anche la famiglia da troppi anni.

Il lavoro delle donne può avere un impatto notevole sulla vita produttiva, un contributo molto maggiore rispetto a buona parte delle politiche economiche discusse. In Italia ad esempio, il numero di donne lavoratrici tra i 15 ed i 64 anni è pari al 46,3%, un valore molto basso rispetto alla media dei paesi sviluppati. Inoltre è presente anche un elemento “qualitativo”,  riguardante il tipo di occupazioni e di livello retributivo. Il Gbobal Gender Gap Report di qualche anno fa, uno studio annuale riguardante la condizione economica femminile, ci posiziona 84esimi su 128 nazioni. La classifica è composta da 4 sottoindici: opportunità economiche, opportunità politiche, salute ed istruzione. La voce peggiore è quella della partecipazione alla vita economica, dove il nostro paese si colloca 101esimo, la migliore è quella dell’istruzione dove siamo al 32esimo posto.  E’ fondamentale notare come il rapporto tra i due indici suggerisca uno scarso rendimento dell’investimento in capitale umano, quindi una struttura sociale bloccata, con scarsa meritocrazia e la presenza di evidenti colli di bottiglia per l’avanzamento di carriera delle donne. Eppure la società  italiana riconosce un importante ruolo alla famiglia, quella che la nostra Costituzione riconosce come tale “una società naturale fondata sul matrimonio” ex art. 29. Il matrimonio non è un’invenzione giuridica, ma un’istituzione sociale.

In questo contesto la donna ha un ruolo centrale di stabilità e di cambiamento. Il miglioramento delle variabili discusse avrebbe un effetto notevole sul Pil,  sulla sicurezza finanziaria delle famiglie, un aumento di performance delle imprese, come se la miglioria delle condizioni economiche dell’universo femminile valesse da “moltiplicatore economico” aumentando la domanda di servizi di varia natura come asili nido, cura degli anziani, ristorazione, ecc. Da dati recenti sulla partecipazione femminile alla forza lavoro emerge che le donne sono relegate in maniera rilevante nel lavoro informale, precario e sottopagato  e che il divario salariale, secondo la Confederazione Internazionale dei Sindacati si attesta intorno al 16%. Cosi come la presenza, assolutamente minoritaria con poche eccezioni, sia ai vertici delle grandi aziende, sia al governo degli Stati, rende ovviamente più difficile l’adozione di leggi, politiche e pratiche ispirate alla parità.

Parlare di finanza etica significa anche considerare il ruolo di tutti i componenti che fanno il mercato e discutere le logiche di inclusione e/o esclusione e studiarne le dinamiche. Per la partecipazione femminile, oltre alle tematiche discusse, va sottolineato il ruolo delle organizzazioni di microcredito atte a compensare l’esclusione delle donne dal settore finanziario tradizionale cresciute negli ultimi, ma non sufficienti a soddisfare i bisogni e le aspirazioni delle donne imprenditrici. Necessita l’abbattimento delle barriere di genere nel settore creditizio, spesso rappresentate da richiesta di condizioni aggiuntive e gravose (come la garanzia di un uomo) e da pregiudizi che vedono il prestito alle donne come più rischioso per la banca, mentre i dati affermano ampiamente il contrario. Per cambiare lo status quo bisogna rivedere il ruolo delle politiche sociali e della regolamentazione del mercato del lavoro, in pratica un nuovo modello di Welfare che coniughi vita e lavoro, che preveda la tutela della maternità, l’apertura di un numero elevato di asili nido, l’apertura di negozi e sportelli pubblici in orari più flessibili, ecc  e che migliori le condizioni sociali delle donne ancora identificate come un “problema”, quando in realtà sono una risorsa preziosa.

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