Private equity e responsabilità sociale: un binomio possibile?

Dire che la crisi finanziaria ha cambiato il volto del private equity è forse esagerato. Di certo, la batosta ricevuta tra il 2008 e il 2009, sia in termini di immagine (con le società target che una volta scoppiata la bolla del credito non sono state più in grado di sobbarcarsi i debiti lasciati dalle case di buy-out) che in termini di numeri (con la fine delle operazioni di M&A e gli investitori che hanno cominciato a batter cassa), ha lasciato qualche traccia. Così, se fino a poco tempo fa il binomio private equity e responsabilità sociale sarebbe stato considerato un vero e proprio ossimoro, oggi non è più così. Il vento, insomma, è girato e l’etica non sta più al private come il diavolo all’acqua santa.

L’incontro organizzato questa mattina a Milano da Aifi, l’associazione italiana del private equity e del venture capital, sul tema “private equity e responsabilità sociale d’impresa: un binomio possibile”, è il segno che qualcosa sta cambiando. Durante il convegno, operatori e investitori hanno approfondito il nesso tra l’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio e la “corporate social responsibility”, con particolare riferimento all’introduzione del reporting sociale, uno strumento di accountability che consente di illustrare le modalità e gli strumento attraverso i quali un’organizzazione contribuisce al miglioramento delle condizioni economiche, sociali e ambientali del contesto in cui opera.

In un loro articolo sull’argomento, Carlo Mammola (managing partner Argan Capital) e Paola Gennari Santori (partner Officina etica consulting) scrivono che “l’orientamento alla responsabilità sociale va ormai diffondendosi a livello internazionale anche nel settore del private equity, con riguardo sia ad azioni relative alla governance e alla trasparenza, sia alle buone prassi etiche concernenti le società in cui i fondi investono”. Tornare all’accezione “autentica” del private equity, che punti cioè allo sviluppo dell’azienda, non sembra più una semplice utopia. Anche se, sottolineano i due esperti, molto strada resta da fare, a partire dalla conoscenza e dalla formazione.

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