G20: lo sapevamo

Chi si aspettava che dal G20 tenutosi durante il week end in Corea del Sud tra i ministri delle finanze dei Paesi a più alta industrializzazione potessero arrivare degli accordi concreti è rimasto deluso, ma siamo sicuri che, in fondo in fondo, nessuno si aspettasse veramente qualcosa di concreto. Il che, non è da biasimare, purtroppo non si sa quale sia la strada migliore per appianare tutte le tensioni che si stanno vivendo, soprattutto sul mercato valutario.

Il problema principale, sappiamo tutti qual è: evitare di arrivare a quello che, molte testate d’analisi e d’informazione stanno ormai descrivendo come una “ guerra valutaria”. C’è chi sostiene essa sia già in atto e chi crede che sia imminente; quello che ci sentiamo di dire a riguardo, è che i termini utilizzati world-wide per descrivere questa situazione, non ci piacciono, in quanto descrivono situazioni che sono portate ad auto realizzarsi, nel momento in cui i problemi sono portati all’attenzione di tutti.

E’ psicologia fine, che fa sì che chiunque (non in grado di formarsi un’idea precisa, che magari va controcorrente a causa del fatto che l’analista macroeconomico non sia il mestiere principale effettuato) legga i commenti che ultimamente girano sui giornali, sia portato a credere che quello che sta leggendo prima o poi avverrà. Allora cosa succede?

Si comincia ad infondere qualche speranza che durante il meeting del G20 possano venire trovati degli accordi che possano contrastare il nuovo pericolo imminente ed il risultato è che di concreto, come detto, non si è detto proprio nulla se non frasi di circostanza del tipo: “bisogna evitare le svalutazioni competitive”. Grazie per il vostro impegno, è proprio quello di cui avevamo bisogno, questo è il primo commento che ci verrebbe voglia di fare, ma poi, ad una più attenta riflessione capiamo che più di tanto non si sarebbe potuto fare in un momento come questo.

GbpUsd – grafico 60 minuti

Siamo tutti d’accordo quando diciamo che la recente volatilità sul mercato dei cambi ha reso ancora più evidente quanto siano al limite i rapporti nonché gli equilibri tra gli Stati Uniti, la Cina e le relative valute. Con ovvi effetti su tutte le altre valute ed economie. È ormai chiaro che in un mercato globalizzato tutti i partecipanti debbano confrontarsi ad armi pari.

In questo momento ciò non è possibile perché lo Yuan cinese non è liberamente scambiabile: ma siamo sicuri che una sua libera fluttuazione (o una rivalutazione forzatamente veloce) sia una soluzione percorribile? Facciamo un quadro della situazione: gli Usa importano diversi beni dalla Cina il che significa che il consumatore americano è più propenso ad acquistare prodotti cinesi piuttosto che domestici.

L’effetto di tale scelta del consumatore si ripercuote sulla disoccupazione interna e sullo squilibrio dei conti con la Cina. Una rivalutazione dello Yuan potrebbe essere quindi un rimedio: il costo del prodotto cinese in Usa aumenta e quindi il consumatore sceglie il prodotto domestico riequilibrando la bilancia con la Cina e migliorando la situazione occupazionale interna.

Ma c’è un ma: molta produzione di aziende statunitensi è stata spostata proprio in Cina e quindi una svolta importante verso un rafforzamento dello Yuan provocherebbe un contrasto all’interno degli interessi degli Usa stessi. Di qui i’impossibilità di qualsiasi manovra con impatti nel breve periodo. La Cina è riluttante a realizzare un tale scenario perché le implicazioni sarebbero enormi ed in grado di modificare seriamente l’infrastruttura economica costruita negli ultimi 20 anni: minori esportazioni verso gli Usa e gli altri partner commerciali, rafforzamento della propria moneta e svalutazione degli asset denominati in dollari (quindi sia le riserve valutarie che tutte le altre attività).

Qualsiasi decisione verrà presa per riequilibrare questa situazione di sostanziale stallo nei rapporti USA – Cina dovrà a nostro parere essere condivisa da tutte le potenze economiche globali pena un’assoluta inefficacia e probabilmente un maggiore disequilibrio mondiale. Le cose certe restano due adesso: la prima è che la Fed procederà con un programma di QE (c’è che dice pari a 2.000 miliardi di dollari, con una probabile prima tranche di 500 miliardi a partire da Novembre) e questo sta pesando fortemente sulle sorti del dollaro, la seconda è che l’euro sta guadagnando molto terreno a livello globale sulla scia della BCE, che in tutta questa vicenda, sta giocando un ruolo marginale, visto il suo commitment verso il controllo dell’inflazione (anche se, nelle ultime settimane, Trichet si è mostrato, a nostro parere, lievemente a sostegno della crescita quando ha effettuato delle dichiarazioni discordanti rispetto a Weber, che voleva cominciare a fermare i programmi di acquisti di asset in essere, dagli scorsi aiuti monetari).

Incominciamo la sezione dedicata all’analisi tecnica alla ricerca di qualche cambiamento di rotta o maggiore indicazione per la giornata entrante.
Il cambio eurodollaro ha approfittato della rottura notturna di 1.3975 per accelerare di più di mezza figura e riportarsi nei pressi del precedente massimo statico a 1.4050, visto la settimana passata. Il supporto su cui si fonda questo movimento si è allontanato (1.3870) e per il momento dobbiamo accontentarci di un più vicino 1.3975, confermato da 3 precedenti massimi e dalla trendline inclinata positivamente con origine venerdì mattina.

Continuiamo a vedere un dollaro yen incerto e sotto pressione. A fatica siamo giunti sino a 81.50 venerdì in chiusura di settimana, salvo poi assistere ad una nuova discesa che ha riportato i prezzi molto vicini all’area di supporto di 80.80. La tendenza rimane ancora a ribasso con potenzialità di raggiungere il minimo storico nei prossimi giorni. La trendline infatti che guida la discesa da un mese (all’interno di una tendenza ribassista ancora più di lungo periodo) continua la propria corsa e solamente un ritorno dei prezzi al di sopra di 81.30 prima e di 83 figura poi crediamo potrà portare ad una decisa inversione della tendenza.

Come accade da un paio di settimane almeno il grafico di EurJpy ricalca perfettamente quello del cambio eurodollaro. In questo caso i livelli da considerare importanti oggi sono il massimo precedente a  114, mentre un buon livello di supporto potrebbe trovarsi a 113 figura (evidente collegando i minimi da settimana scorsa).

Vediamo ora come sta evolvendo la situazione del c
able, dopo che è stato perfettamente messo a segno un preciso triplo minimo a 1.5650. La forza della ripresa da questo livello (molto chiaro su grafico orario) ha infatti fornito uno spunto di salita di una figura abbondante, soprattutto permettendo ai prezzi di rompere quella linea di tendenza negativa che stiamo seguendo da un paio di giorni. Il prossimo punto obiettivo nel breve si trova poco al di sopra di 1.58 figura, mentre il più ambizioso per la giornata di oggi è dato da 1.5875.

Il cambio GbpJpy rimane ancora in zona a rischio. Siamo ancora sul livello di supporto importante di 127.30, con il rischio estensione a ribasso verso 126.70 da un momento all’altro. Sarà importante capire ancora una volta se il profondo sbilancio nelle posizioni a favore di una ripresa non inneschino invece, sotto questi livelli, un movimento ribassista ancora più profondo.
L’euro, nei confronti della sterlina, continua la propria corsa in salita. Considerando importante il supporto a 0.8850, crediamo possano essere raggiungibili i due estremi di 0.9030 ed il più ambizioso 0.9130.

Per chi volesse ulteriori approfondimenti, vi aspettiamo alle 9 puntuali per il nostro Morning Briefing in webinar: http://forexforums.dailyfx.com/analisi-live/244106-analisi-live-del-mercato.html

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